Un’altra occasione persa per realizzare un’equa rappresentanza
Ho atteso 24 ore prima di scrivere, perché la rabbia sbollisse e per essere più lucida nelle considerazioni che riguardano la formazione del nuovo Governo da un punto di vista della rappresentanza femminile. Come sappiamo ormai bene 8 donne su 23 ministri, nessuna donna a rappresentare la sinistra. Se poi guardiamo al peso dei ministeri, (perché non tutti i Ministeri hanno lo stesso peso), la situazione è ancora più demoralizzante: tutti quelli in cui si dovranno spendere le risorse che arriveranno dal Next Generation UE sono saldamente in mano agli uomini. Non c’è che dire, per le donne un bel successo!
E la rabbia sale se si pensa a quanti appelli, petizioni, lettere sono state inviate da associazioni, gruppi e movimenti di donne, a quante rassicurazioni, promesse e impegni sono stati presi, a quante belle parole sulla parità e sull’importanza delle donne nei luoghi dove si decide, sono state dette da tutti, ad iniziare dal presidente della Repubblica e via via dai vertici dei Partiti.
Il presidente Draghi ha fatto la sua parte, ma non completamente (tre Ministre tecniche su Ministeri importanti ma non direttamente legati alla gestione del Recovery), e stupisce che un uomo che ha vissuto più all’ estero che in Italia e che è sicuramente consapevole del ruolo importante delle donne, in ogni epoca della vita di un Paese, ma necessario e imprescindibile in questo particolare momento che il mondo attraversa, non abbia imposto ai partiti di dare una rosa di nomi paritaria, così come invece ha fatto per altre scelte a cui i partiti si sono adeguati senza neanche tentare di metterle in discussione.
Dal momento in cui è stata letta la lista del nuovo Governo le numerose chat di organizzazioni e gruppi femministi sono impazzite, lo sconforto e lo sconcerto sono stati così tanti che servirà una bella elaborazione del lutto per superarli. Cos’è che questa volta ha alimentato questa indignazione? Cosa ha fatto montare la collera rispetto ad altre formazioni di Governo non ugualmente paritarie?
Per parlare solo degli ultimi governi che si sono succeduti in questa legislatura il rapporto fra donne e uomini è sempre stato circa la metà, esattamente come in questo esecutivo. L’unica donna espressa dalla sinistra nel governo Conte II è stata Paola Demichelis su ben 8 ministri indicati da PD e Leu. E allora che cosa ci ha fatto così infuriare?
Prima di tutto le tante speranze riposte in un governo dove le competenze dovrebbero essere la cifra che lo caratterizza, e sappiamo bene che quando si parla di competenze, di eccellenze le donne primeggiano. Ce lo dicono i dati: le studentesse si laureano meglio e in minor tempo, curano moltissimo la loro formazione post laurea, ma poi come per un incantesimo malefico le loro carriere si fermano, i ruoli apicali sono solamente un miraggio che si concretizza solo per poche, e in politica forse è ancora più complicato emergere in partiti in cui il livello di testosterone è pari alla sete di potere che gli uomini continuano ad avere e che non vogliono minimamente cedere. E poi l’irritazione di esserci sentite prese in giro: le tante dichiarazioni che sulla parità sono state dette, quanta importanza è stata data, a parole, alla rappresentanza delle donne nelle istituzioni, quante iniziative, ogni volta che c’è un fatto, una ricorrenza, una giornata legata alla partecipazione femminile vengono organizzate, sembrano ipocrite e stucchevoli quando non sono supportate dai fatti. Forse un bel tacere sarebbe più dignitoso!
La delusione, perché proprio i partiti progressisti, che della parità di genere dovrebbero essere i garanti e i difensori, sono invece quelli che rispondono a logiche di potere esclusivamente maschile dove le donne sono un contorno, un di più da cooptare quando proprio non se ne può fare a meno di presentare una donna per un equilibrio non reale, ma solo di facciata.
Le donne dei partiti non sono esenti da responsabilità: anche quelle brave, che lavorano a fondo su problemi, progetti, disegni di legge, che hanno competenze tali per poter rivendicare ruoli importanti, che non hanno nulla da invidiare ad un collega maschio, non riescono ad esprimere una loro leadership autonoma, si sono adattate ad un sistema di correnti per cui si riesce ad emergere solo affidandosi alla cooptazione da parte del capo di riferimento.
Il problema annoso è che spesso le donne dei partiti non sentono come primaria l’appartenenza al genere, ma a quella dell’area di riferimento. Questo aspetto molte volte compromette anche il rapporto con il mondo dell’associazionismo, dei gruppi e movimenti femministi con cui è difficile un’interlocuzione perché le priorità e gli obiettivi non sempre coincidono.
Le risposte a questi problemi, che sembrano solo appartenere alla politica del nostro Paese, non sono semplici: inserire delle norme di riequilibrio come si chiede ormai per qualsiasi nomina governativa o parlamentare e come si è sperimentato già nelle società quotate in borsa o nelle partecipate (mi chiedo sempre perché le società private devono adeguarsi a questo principio del dettato costituzionale e lo Stato no), indicare per ogni posizione due nomi, un uomo e una donna e chiedere la formazione di un esecutivo equilibrato (sistema utilizzato da Ursula Von der Leyen per le componenti primarie della Commissione europea) o altre prescrizioni normative che tendano se non alla perfetta parità, almeno ad un sostanziale bilanciamento.
Intanto le donne del movimento sono sul piede di guerra: tantissime donne si sono autoconvocate lunedì 15 febbraio alle 21 in una riunione spontanea e senza sigle per invitare tutte le donne che sono stanche di questa situazione a partecipare per portare le loro istanze, le loro proposte, insomma per far sentire la loro voce, la voce di chi non si sente adeguatamente rappresentata da questo Governo. Qui il link
L’omissione di voci, esperienze, competenze femminili è un problema, perché eclissa la «diversità» di cui si compone il mondo. Da qualsiasi punto di vista, in qualsiasi ambito continuare a scegliere un parterre di soli uomini è alla fine una scelta che danneggia tutta la società.
Donne e uomini hanno cose diverse da dire, modi diversi di affrontare i problemi perché fanno parte di categorie diverse e complementari, noi ci rifiutiamo che a decidere sia sempre e solo una parte che pretende di rappresentare l’universale. Finché continueremo a sprecare questa ricchezza, non faremo solo un torto alle donne, ma a tutta la società. Gli uomini non lo capiscono e continuano a perpetrare queste logiche, allora non dobbiamo più tollerare, non dobbiamo più chiedere, dobbiamo trovare gli strumenti per agire un conflitto.