«La prima donna che»: il format tv che, in due minuti, racconta vite straordinarie
Corriere della sera – La 27 ora 1 luglio 2021 Laura Onofri
Da qualche settimana vanno in onda su Rai Uno e Rai Play, prodotte da “Rai Documentari” le pillole di «La Prima Donna che» in collaborazione con Rai Pari Opportunità e Rai Teche. Si tratta di trenta affascinanti ritratti di donne pioniere, una rassegna transgenerazionale che, attraverso brevi video quotidiani, unisce le donne di ieri e di oggi racconta, attraverso la voce narrante di giovanissime ragazze, la storia di grandi donne che, con il loro coraggio e la loro determinazione, sono riuscite a vivere una “prima volta”, e a cambiare il mondo e la società.
Con il patrocinio del Ministero per le pari opportunità e la famiglia e in collaborazione con la Commissione Pari Opportunità della Rai, il progetto ricostruisce, grazie al contributo di Rai Teche e allr immagini degli archivi storici dell’azienda, figure di donne straordinarie, nomi noti e donne comuni che hanno lasciato un segno nella Letteratura, nell’Arte, nella Politica, nella Scienza e in ogni ambito della nostra società. Abbiamo chiesto ad Alessandra di Michele Bragadin, ideatrice e autrice della ressegna, come è nata l’idea di questo format: »Io vengo dal mondo dell’Associazionismo, – ci dice Alessandra , che fa parte di EWMD ROMA, presieduta da Fulvia Astolfi e presidente di due Associazioni femminili- ed è nello scambio quotidiano con “sorelle di pensiero” che hanno fiducia nell’empowerment femminile, che ho trovato la forza per far diventare un’idea realtà. Come ha detto anche Tina Anselmi, prima donna a diventare Ministra in Italia nel 1976, “Io sono stata la prima donna a partecipare a una commissione d’inchiesta e lo devo ad una donna, Nilde Iotti”».
Per quattro anni ho ragionato, all’inizio in maniera intima, su cosa significasse essere una “prima donna”. Aldo Grasso, nel recensire le pillole, ha coniato un termine originale: “primavoltità”. La prima donna è una pioniera che, con coraggio e determinazione, scardina modelli consolidati e con il proprio agire rappresenta uno spartiacque.
L’idea si è rafforzata durante il lockdown racconta l’autrice: «È stata un’esperienza scioccante: nell’emergenza, noi donne eravamo sparite dall’ambito pubblico, inesistenti, ricacciate dentro casa. Eppure era forte in me l’assoluta consapevolezza che la società si fonda sulle donne. Mi dicevo che non potevano essere cancellati decenni di lotte e diritti. Da questa ferita e è nata la proposta di un format che potesse scuotere le coscienze, risvegliare le donne dall’anestetico, farle inorgoglire, renderle consapevoli della loro forza, di ciò che già avevano fatto e che possono fare. Ho pensato ad un programma che arrivasse con immediatezza a tutti: piccoli, giovani, adulti, anziani, uomini e donne insieme. A tutti. Al grande pubblico. Così abbiamo scommesso su un format originale di due minuti e mezzo pensato per il pubblico di RaiUno. Un progetto pensato come ad una goccia giornaliera che batte sullo stesso punto, per poter finalmente dare voce e visibilità alle donne che sono, ancora oggi, assolutamente sottorappresentate nella narrazione della storia del nostro paese».
«Ho immaginato – continua l’ideatrice – ad un ponte che collegasse tre generazioni: quella dei nonni, dei genitori e dei figli e che, come in uno specchio, attraverso le donne della storia, ci aiutasse a riflettere sul nostro presente, chiedendoci quanta strada avevamo fatto. “La prima donna che” serve ad interrogarci sul nostro presente con spirito critico, spingendoci a portare a compimento un percorso di emancipazione per vivere tutti insieme in una società più giusta».
L’estrema varietà delle prime donne storiche si riflette nella diversità delle ventenni che le raccontano. Personaggi come Tina Lagostena Bassi, la prima donna che ha usato il termine “stupro” in un’aula di tribunale nel 1979, o come Filomena Nitti che ha rivoluzionato la chimica farmaceutica, senza essere insignita del Premio Nobel come il marito Daniel Bovet nel 1957, o ancora Marisa Cinciari Rodano, prima donna Vice Presidente della Camera. Ma anche donne dello sport come Maria Teresa De Filippis prima donna qualificatasi in Formula Uno nel 1958, o donne comuni come la prima conducente di autobus, Giulia Solomita nel 1961, o ancora la prima imprenditrice a far allattare le donne in fabbrica e creare nidi aziendali più di cento anni fa, Luisa Spagnoli.
«Oggi a distanza di oltre cinquanta o cento anni – conclude Alessandra Di Michele Bragadin- mi chiedo quale cambiamento sia avvenuto per le donne nella società italiana. Parliamo ancora di stupro? Quante donne vengono premiate con il Nobel oppure siedono ai vertici aziendali? Quante donne guidano l’autobus o corrono in Formula Uno e ancora: le donne possono allattare in azienda e avere nidi a sufficienza per poter lavorare? Personalmente ho trovato grande fonte di ispirazione anche nelle giovani ventenni che hanno dato voce alle donne del Novecento e che vanno incoraggiate affinché realizzino i propri sogni. Nel raccontare le prime donne, le ragazze hanno usato termini quali “vorrei creare un mondo con meno ingiustizie”, “l’educazione è l’arma più potente per cambiare il mondo”, “non esiste una strada predeterminata nella vita”, “bisogna sfidare le convenzioni”, “sono necessarie tenacia e determinazione”, “bisogna superare i propri limiti e quelli imposti dalla società”, e così via…»
Kamala Harris, la prima donna Vice Presidente negli Stati Uniti d’America, ha voluto ricordare il ruolo che ha avuto sua madre nell’educarla diventando consapevole della propria forza e delle proprie potenzialità. Infatti Kamala Harris ha detto «siedo sulle spalle di una gigante» e dopo la nomina ha aggiunto «sono la prima donna ma non sarò l’ultima: sognate con ambizioni!». Dichiarazioni che acchiudono perfettamente l’idea del passaggio di consegne generazionale utile a dare alle donne il posto che meritano nella società odierna che questo format ha avuto come obiettivo.