Le sorelle di AGL: «Per noi la maternità non è un criterio di scelta»

Corriere della sera – La 27 ora – 11 maggio 2022 – Greta Privitera

Il video della stilista Elisabetta Franchi che durate l’evento «Donne e moda: il barometro 2022», organizzato dal quotidiano Il Foglio, ha detto «Assumo solo donne “anta” così possono lavorare h24» ha scatenato un terremoto.

Non è stato facile ascoltare parole come: «Non si può restare per due anni con un buco nell’organigramma se una donna con un ruolo di responsabilità va in maternità». Rita Querzè, giornalista della redazione Economia del Corriere della Sera che da sempre si occupa di questi temi, ha scritto un articolo molto interessante dall’attacco eloquente: «Benvenuti nel mondo reale. Le parole dell’imprenditrice Elisabetta Franchi  suonano come una spietata sveglia per tutti quelli che si erano illusi che il mercato del lavoro marciasse a grandi passi verso l’equità di genere». Ma poi ha sottolineato che «tutto questo non alleggerisce le responsabilità di Franchi. Il “così fan molti” non è un’attenuante».

Quel «così fan molti» ci ha fatto venir voglia di parlare con coloro che «così non fanno» e che passo dopo passo provano a invertire la rotta.

Abbiamo raggiunto Sara, 44 anni, Vera, 42, e Marianna, 39, Giusti, tre sorelle a capo dell’azienda AGL, marchio di scarpe di alta moda con base nelle Marche. 
Siete madri? «Sì. Io, Vera, ho tre figli, Sara ne ha due e Marianna tre».

 Come avete fatto a gestire otto maternità e un lavoro di così alta responsabilità?
«Organizzandoci. Abbiamo scelto liberamente quanto stare a casa, ma noi siamo in una posizione abbastanza privilegiata». 

E le vostre dipendenti?
«Alcune hanno preso solo tre mesi, altre un anno». 

Anche chi ricopre ruoli dirigenziali?
«Certo. Siamo un’azienda di 130 dipendenti, il 65% è donna. Quasi tutta la parte dirigenziale è femminile. Essendo un’azienda medio piccola, abbiamo pensato che fosse una buona idea lavorare in gruppi, prediligendo il lavoro orizzontale invece che quello verticale per venire incontro alle esigenze di tutti e di tutte.
Così quando qualcuno ha necessità di stare a casa per qualsiasi motivo – gravidanza, motivi familiari, malattia –  il team riesce a coprire il ruolo della persona e aiutarla nel momento in cui non c’è. Ricordiamo che anche gli uomini stanno a casa e hanno il diritto di stare a casa». 

Qual è il criterio con cui scegliete una donna da assumere? 
«È lo stesso con cui scegliamo un uomo: competenza e capacità di aiutare il gruppo». 

Quindi non guardate l’età.
«No, guardiamo il talento personale. Quando inseriamo delle persone di talento per noi è benzina. Abbiamo appena assunto una persona di quasi 60 anni e ne abbiamo di 20».  

Molti dicono che è ipocrita non ammettere che una donna che partorisce o che ha figli piccoli non sia un problema per un’azienda. Come rispondete?
«Siamo imprenditrici donne, capiamo come funziona il mondo e la vita reale al di fuori del lavoro. Crediamo fermamente che un approccio umano al lavoro renda l’ambiente molto più sereno. Fermarsi qualche mese per la maternità non può essere un criterio di scelta né di valutazione della lavoratrice. La vita professionale di una persona non può essere giudicata dai mesi che sceglie di prendersi per la maternità. Noi puntiamo su un sano equilibrio tra vita privata e lavoro».  

Come?
«In diversi modi. Per esempio, qualche anno fa abbiamo fatto un sondaggio tra i lavoratori ed è uscita la necessità di cambiare gli orari di ingresso. Oggi abbiamo orari che seguono quelli delle scuole, cosicché i nostri dipendenti – tutti e tutte – riescono ad accompagnare i figli. Genitori e non possono anche scegliere di fare orario continuato e uscire presto per avere una parte del pomeriggio libero». 

Che cosa può fare lo Stato per aiutare le aziende su questi temi?

«Si possono pensare a dei fondi per delle forme di flessibilità a tempo. I nostri dipendenti hanno tutti usufruito del bonus babysitter, un contributo che è stato molto apprezzato».

Chi ha fondato l’azienda?
«Nostro nonno Piero, nel 1958. Poi è stata portata avanti da papà Attilio con l’aiuto di mamma, entrambi ancora molto presenti». 

Che cambiamenti avete portato voi tre?
«Il lato molto umano lo abbiamo ereditato dalla famiglia. Ma quando è nata l’azienda era gestita e vissuta soprattutto da uomini: questo era un lavoro maschile. L’80% dei lavoratori era uomo. Una volta, le donne erano assunte dall’azienda ma lavoravano da casa. Poi, dopo le lauree e le esperienze all’estero, siamo arrivate noi».