Quei manifesti che umiliano le donne

La Stampa 27 maggio 2022 – Laura Onofri

Gentile Direttore,

ho letto con attenzione l’articolo del professor Vladimiro Zagrebelsky dal titolo “Non si può far tacere chi è contro l’aborto” : non sono d’accordo con le sue osservazioni e cercherò di spiegare perchè.

La richiesta  delle associazioni,  sia a Roma che a Torino, della rimozione dei manifesti dell’associazione Pro Vita non ha l’obiettivo di zittire chi la pensa diversamente in tema di aborto.

Non ci siamo mai sognate di censurare il pensiero anche di chi è lontano anni luce dal nostro modo di pensare: quando in un dibattito, in un convegno, in un incontro pubblico ci troviamo ad affrontare i movimenti antiabortisti ci contrapponiamo con argomentazioni, discussioni e dati,  non certo con la censura.

“Potere alle donne? Facciamole nascere” come se lo squilibrio di potere fra uomini e donne fosse causato dalle donne che decidono di abortire, e non  dal sistema patriarcale che genera una violenza  endemica e globale, che limita il godimento dei diritti delle donne e l’uguaglianza legale, sociale, politica ed economica in tutte le sfere della vita.

Ed evoca un altro messaggio altrettanto odioso: quello dell’infanticidio selettivo, pratica diffusa in tante parti del mondo e dramma di molte società, ma che nulla ha a che fare con il diritto sancito dalla l.194


La libertà di espressione, invocata dal professor Zagrebelsky, come lui ben sa, trova dei limiti. Il diritto alla libertà di espressione non è  un diritto assoluto e trova la sua limitazione quando è in conflitto con i diritti o i valori di altre persone così come  la  Corte Costituzionale, in tema di tutela ex art. 21 Costituzione, ha riconosciuto in più di una Sentenza;  la sussistenza di limiti alla libertà di manifestazione del pensiero  è da individuarsi nell’esigenza di tutelare e proteggere ulteriori ed essenziali temi protetti dalla Costituzione.

Nella fattispecie vengono in rilievo espressioni ed immagini che possono risultare discriminanti verso coloro che esercitano un diritto garantito dalla legge 194″,  ovvero un diritto sancito da una legge dello Stato.

Del pari l’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo chiarisce che “la libertà di espressione non è illimitata e/o assolutamente non controllata ma implica “doveri e responsabilità” , …..”può essere sottoposta a condizioni , restrizioni ….e che costituiscono misure necessarie , in una società democratica” , tra l’altro, “alla protezione della reputazione e dei diritti altrui”.

Per questi temi etici e divisivi  diventa della massima importanza che la comunicazione sia responsabile, perché di questo si tratta. Cosa c’è di “responsabile” nel loro manifesto che a partire dalla immagine “cult” del feto, già usata con i gadget di plastica in ogni  loro manifestazione, utilizza una parte per il tutto con il solo scopo di suscitare emozioni “di pancia”?

Bene ha fatto quindi l’amministrazione di Roma a rimuovere i manifesti antiabortisti, con un atto amministrativo e non politico quindi non della giunta, come erroneamente scritto nell’articolo, ravvisando una violazione dell’art. 12 bis del Regolamento sulla Pubblicità  il cui comma 2, specifica “ è altresì vietata l’esposizione pubblicitaria il cui contenuto sia lesivo del rispetto delle libertà individuali , dei diritti civili e politici ” con l’intento di promuovere e garantire una comunicazione responsabile che eviti qualsiasi pregiudizio e/o discriminazione e affinché il diritto a manifestare la contrarietà ad una norma di legge non si traduca in una lesione di un diritto di pari grado.

Ci auguriamo che anche l’amministrazione del Comune di Torino voglia rilevare tale violazione e rimuovere quei manifesti che offendono e umiliano le donne.

 Laura Onofri

Presidente di SeNonOraQuando? Torino