Tutto il nostro meglio
inGenere 23 dicembre 2021 Barbara Leda Kenny Claudia Bruno
Il nostro sguardo sul mondo e sulla ripresa, sulla salute e sulla vita delle donne, sulla parità. Il 2021 di inGenere raccontato in un editoriale
Dalle elezioni americane alla prima donna Mapuche alla guida della costituente in Cile, passando per la sessantacinquesima sessione della Commissione delle Nazioni Unite sullo stato delle donne, la Cina dei tre figli, l’economista che a Seattle ha sfidato Amazon, la legge sull’aborto in Texas e quello che le donne dicono a Istanbul, il 2021 ci ha permesso di rinnovare il nostro sguardo sul mondo e sugli accadimenti in corso a livello internazionale.
Abbiamo fatto del nostro meglio per seguire il dibattito sulla ripresa, offrendo dati, analisi e strumenti, portando le nostre “istruzioni per uscire dalla crisi” alla Camera dei Deputati quando la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza era ancora al suo inizio. E stando attente a quello che nel frattempo accadeva negli altri paesi, dentro e oltre l’Europa.
Con la consapevolezza che la pandemia ha colpito soprattutto il lavoro delle donne, che in Europa restano le più povere, e che rappresentano la maggioranza delle occupate in settori come quello dell’accoglienza e del turismo, che ha bisogno di essere ripensato insieme alle politiche che regolano tutto il mercato del lavoro.
E con la conferma da parte dei dati che la crisi sanitaria ha compromesso la salute mentale e fisica delle donne in maniera particolare. Riducendo il loro tempo ai minimi termini, e impattando sul calo delle nascite e rendendo più evidenti gli squilibri di ruolo all’interno delle famiglie, in un paese come l’Italia dove le donne lavorano poco e male, sono più precarie, e arrivano sempre più tardi alla scelta della maternità.
Dieci articoli non ci sono bastati per raccontare come sta cambiando e dovrà cambiare necessariamente il mercato della cura, soprattutto ora che è così evidente che il ruolo dell’assistenza e del lavoro domestico e sanitario è indispensabile alle famiglie e alla società, e va quindi valorizzato in modo più giusto, a partire dai diritti e dalla vita delle persone, donne e straniere nella maggior parte dei casi, che lavorano nel settore.
Per non parlare della cura all’infanzia e degli investimenti contro la violenza che non è fatta “solo” di botte ma anche di costi alti in termini di spesa pubblica per tutti.
Avanziamo lentamente sul fronte della parità, ma con perseveranza. Ce lo chiede l’Europa ed è l’obiettivo al centro della Strategia nazionale di genere per la parità, un documento di governo inedito per il nostro paese e a cui ci siamo ripromesse di dedicare la giusta attenzione. Con la legge 162 entrata in vigore a novembre abbiamo fatto sicuramente un passo avanti in termini di parità retributiva, con un richiesto miglioramento della trasparenza e l’istituzione di una certificazione che apre la via ad alcune forme di premialità nelle imprese.
Ma “la disuguaglianza è sempre una scelta politica” come ha ricordato il nuovo World Inequality Report, e ci è sempre più chiaro che non colmeremo i divari senza una informazione davvero inclusiva, un femminismo capace di ripartire dai dati, enti di ricerca impegnati nell’attuazione di piani di genere, e un’università diversa e migliore, che sta già cambiando e proprio dalla risoluzione degli squilibri ha bisogno di ripartire per raccogliere le sfide del futuro.