Un grido nel silenzio

Stefanella Campana

Francesca Magiara studia al Liceo Darwin di Rivoli, indirizzo scientifico e sogna di diventare designer. Cecilia Demo frequenta il liceo Volta di Torino, indirizzo scientifico e vorrebbe studiare medicina. Entrambe fanno parte della commissione Cultura della Consulta Provinciale degli studenti di Torino che ha raccolto la loro idea di un concorso di scrittura sul tema della violenza sulle donne, “Un grido nel silenzio”, rivolto agli istituti superiori di secondo grado.

“Già alla fine del 2019 avevamo pensato di ideare dei concorsi per includere tutti gli student* delle scuole di Torino e provincia. In seguito al primo lunghissimo lockdown siamo state un po’ demoralizzate perché avevamo già iniziato a lavorarci e non sapevamo se saremmo riuscite a portare a termine i nostri progetti. Questo periodo, però, è stato di ispirazione per noi. Infatti abbiamo pensato alle tematiche per i due concorsi a cui stavamo lavorando: ambientale e la violenza sulle donne. Per quanto riguarda quest’ultima siamo rimaste colpite da come in quel periodo così buio per tutti, ci sia stato un notevole incremento di casi di violenza sulle donne causato soprattutto dal fatto che non si poteva uscire di casa. Abbiamo quindi pensato di puntare su questo problema per il nostro concorso di scrittura per cercare di sensibilizzare maggiormente le nuove generazioni sulla gravità di qualsiasi forma di violenza di genere, in particolare quella sulle donne. Siamo molto orgogliose di essere riuscite a coinvolgere numerosi student* e di essere riuscite a concludere entrambi i progetti”.

Brave ed efficienti Francesca e Cecilia sono riuscite a far aderire al concorso di scrittura sul tema della violenza sulle donne sedici scuole e una sessantina di student*. Si è concluso con la premiazione il 13 maggio in Comune di tre elaborati: 1° “Amare da morire” di Marica Amasio, dell’istituto Fermi-Galilei di Cirié, 2° “Sordi e ciechi” di Silvia Maddalena Benedetto del liceo Gobetti di Torino, 3° “Invisibile” di Hasna Khadiri dell’ITC Sommeiller. Premi in buoni-libro di 200, 100 e 50 euro.

Ho fatto parte della giuria (come rappresentante CPO dell’Associazione Stampa Subalpina e del Direttivo di GIULIA Giornaliste, assieme alla presidente della CPO FNSI Mimma Caligaris, al giornalista e documentarista Davide De Michelis, alla critica televisiva Alessandra Comazzi, allo storico Gianni Oliva, all’insegnante Patrizia Garneri) e il compito non è stato facile perché quasi tutti gli elaborati rivelavano un grande sforzo di approfondimento e coinvolgimento sul fenomeno strutturale della violenza alle donne.

La scelta dei primi tre ha premiato la capacità personale e originale nell’affrontare un tema difficile e drammatico, puntando sugli atti violenti scambiati e giustificati troppo spesso per amore, sulla denuncia di chi non sempre risponde alla richiesta di aiuto della vittima, la presa di coscienza che fuggire da chi non ti rispetta, dal carnefice che ti distrugge si può. Elaborati scritti con abilità, nati dall’impegno individuale visto che gli elaborati non sono stati stimolati da discussioni e confronti in classe sul tema della violenza sulle donne.

Giudicateli anche voi. Buona lettura!

E grazie ancora a Francesca e Cecilia per il loro grande impegno in un anno particolarmente difficile per la scuola e alle-ai giovani che hanno partecipato al concorso che ci danno speranza per la maturità dimostrata.

AMARE DA MORIRE di Marica Amasio
Diario di Gioia
Oggi ho compiuto 22 anni. Le mie amiche hanno organizzato una festa a sorpresa, è
venuto anche Fabio, il mio principe azzurro. Ogni giorno mi innamoro sempre più
follemente di lui. È il più bel ragazzo della Terra, così affascinante, con quei riccioli
castani ed i caldi occhi color nocciola. Anche io mi ritengo carina: amo molto i miei
occhi, sono blu mare. Adoro truccarli. Ho da sempre il complesso dell’altezza, però:
Fabio mi prende spesso in giro, perché sono piccolina, ed anche bionda, “le bionde
sono stupide e svampite”. Lo fa solo per ridere, quindi non faccio notare che mi
infastidisce. È un maschio, i maschi fanno così, è normale.
Diario di Viola
La festa di Gioia è stata un successone! Sono così contenta, se lo merita.
Certo, forse avrei preferito che quel Fabio non fosse presente; è evidente che
quando c’è, Gioia diventa meno allegra, è tesa, in soggezione. Quando ho provato a
dirglielo, mi ha sorriso accusandomi di essere gelosa. Ma come posso non essere
leggermente preoccupata da quando mi ha detto che lui ha preteso password dei
social e PIN del telefono?! “È insicuro, ma tanto io non ho nulla da nascondere”, mi
ha risposto lei. Potrebbe essere una risposta sensata, se anche lei avesse il diritto di
accedere ai suoi social.
Diario di Gioia
Ieri ho discusso con Fabio: gli ho confidato che, di nuovo, mentre andavo al bar, quei
due uomini mi hanno fischiata. Provo sempre un misto di emozioni: rabbia, disgusto,
paura ed inquietudine. Credevo mi avrebbe abbracciata consolandomi, invece mi ha
fatto riflettere: ha ragione, è colpa mia. Indossando sempre dei leggings per
lavorare, inevitabilmente attiro l’attenzione e me lo cerco. Mi ha convinta, da
domani indosserò pantaloni più larghi, e rinuncerò anche al trucco. Mi pesa, ma
ascolterò i suoi consigli; in fondo, lo fa per il mio bene.
Diario di Viola
Non trovo le parole: non riesco ad esprimere la rabbia, l’odio e la collera che provo.
Fabio ha impedito a Gioia di venire al mare con noi. È riuscito a spezzare una
tradizione che durava dai tempi del liceo. Lei l’ha giustificato dicendo che, essendo
una coppia, certe scelte vanno prese di comune accordo. La verità è che Fabio non
ha una buona opinione di noi, e l’ha convinta a non frequentarci. Ma come può lei
accettare un’imposizione del genere, una vera e propria violenza psicologica? Gioia
non si rende conto che questo è l’inizio di un incubo dal quale non si libererà più.
Fabio la sta violentando, la sta privando della sua libertà, della sua dignità. Non solo
non la ama, non la rispetta nemmeno. Forse non le lascia ancora lividi sul corpo, ma
la sua anima sarà cosparsa di ferite.
Diario di Gioia
Il ghiaccio brucia sulla guancia: Fabio mi ha tirato uno schiaffo. Non è il primo, e ho
la sensazione che non sarà, per l’ennesima volta, l’ultimo. Ormai questo tormento va
avanti da un po’: ogni volta in cui, anche inconsciamente, faccio o dico qualcosa che
lo infastidisce, perde il controllo. Ma spesso è colpa mia, devo accettare che, stando
insieme, dovrò imparare a rispettare le sue richieste, non posso continuare a
pretendere di voler fare di testa mia. Nella mia vita lui deve essere la persona più
importante, non c’è più spazio né per le mie amiche, né per mia madre. Fabio ha
ragione, loro non capiranno mai, non sono noi, non sanno l’amore vero che ci lega,
vogliono solo intromettersi, per allontanarmi da lui. Lui è così, focoso ed impulsivo,
ma chi non ha dei difetti? A chi non succede mai di perdere la calma, di esagerare?
Sono io, io che mi devo regolare, essere più docile e mansueta. Da oggi mi
impegnerò seriamente, e sono convinta che, così facendo, avrò finalmente
quell’amore che desidero da tutta la vita.
Diario di Viola
Oggi è il mio compleanno, ma quel dolore che mi toglie il respiro, quella morsa
intorno al cuore, quella mancanza di una parte di me, tutto questo non accenna a
placarsi: la mia migliore amica Gioia non c’è più. Il suo principe azzurro le ha tolto la
cosa più preziosa che aveva: la sua vita.

SORDI E CIECHI di Silvia Maddalena Benedetto
1:48
Ho la schiena rotta, gli occhi bruciati e la mente annebbiata mentre guido nel silenzio
verso casa da lavoro. Parcheggio, scendo, chiudo la portiera e da lontano spengo la
macchina senza neanche voltarmi. Tiro fuori la solita sigaretta dal pacchetto, mi
tasto i jeans per cercare l’accendino, che non trovo. Cammino fissando il
marciapiede, con la sigaretta in bocca e le mani incrociate dietro la schiena, senza
pensare.
Svolto a destra imboccando la via di casa, su un piccolo balcone rettangolare vi è
seduta la mia vicina, con la quale non ho mai parlato. Ma, sinceramente, dubito che
qualcuno abbia un rapporto coi propri vicini. Le sue gambe penzolano oltre le sbarre
di metallo, incrociandosi all’altezza delle caviglie e spostandosi in avanti e indietro ad
un ritmo lentamente costante, le mani si appoggiano al cemento. Noto che anche lei
sta fumando, perciò le chiedo un accendino, che subito mi viene lanciato in modo
cortese e col quale mi accendo la sigaretta. Le chiedo come sta, e lei mi guarda con
degli occhi strani, pensierosi. Ruota la testa di lato e noto le sue labbra tremare, la
sua mascella stringersi. Senza aspettare risposta faccio il gesto di rilanciarglielo. Lei
mi blocca con una mano aperta, mi dice che glielo posso anche riportare domani
mattina, mi augura una buona serata. Percorro una decina di metri senza voltarmi
indietro, sento pronunciare debolmente il mio nome e mi volto stranito, perché io il
suo non lo so. Mi ripete l’orario dell’appuntamento, mi chiede di essere puntuale, e io
accennandole un sì con la testa mi volto e torno a casa nel buio.
13:30
Quando suona la sveglia sono già in piedi da mezz’ora, mi sto preparando per
andare al lavoro. Questi orari notturni mi stanno uccidendo, mi sembra di essere
fuori dal tempo. Prima di aprire la porta, noto l’accendino di ieri per terra e lo
raccolgo, me lo metto in tasca, esco. Mentre scendo le scale mi rimprovero per la
mia maleducazione, per essermi dimenticato che glielo dovevo riportare la mattina e
non ora. Però poi penso che, lavorando prevalentemente di notte, mi si possa
perdonare il ritardo e gli orari sballati. E soprattutto reputo che riportare un
accendino si possa fare in qualsiasi orario, e mi chiedo il perché di tutta quella fretta,
soprattutto dal momento che glielo stavo ridando ieri.
Svolto a sinistra e le luci delle sirene mi investono lo sguardo, il loro suono mi
rimbomba nei timpani e scende fino alle caviglie, mi fa tremare. Ci metto un paio di
minuti a capire la situazione e a rendermi conto di cosa mi stia attorno. Vedo
un’anziana donna piangere a terra, inginocchiata in una posizione innaturale e
scossa dai singhiozzi, un uomo che le accarezza la schiena parlando con i poliziotti
e gli infermieri. Sento parole confuse, di cui so il significato ma che non riesco a
capire. “Picchiata”, “lo sapevo”, “era violento”, “non mi fidavo”, “non me lo sarei mai
aspettato”. Questi suoni sono come a intermittenza, vanno e vengono
attraversandomi la mente e scappando silenziosi. Gente attonita, con gli occhi
sbarrati e la bocca aperta, mi ci rispecchio in quelle espressioni. Mi sembra di essere
in un film, in una bolla, sotto l’acqua. Cerco di parlare con qualcuno ma non mi
muovo, resto fermo immobile con una faccia da scemo. Un signore mi viene
incontro, e senza vedere mi arriva addosso spingendomi la spalla con la sua. Mi
cade l’accendino a terra, mi chino a raccoglierlo e mi rendo conto di una cosa che mi
fa gelare il sangue. Alzo gli sguardo verso le mani degli altri, i quali stanno creando
un gruppo sempre più folto davanti ai miei occhi increduli. Vedo decine di persone
con un accendino in mano, e mi viene da urlare. Siamo tutti in ritardo, tutti. Lei ha
parlato senza essere ascoltata, ha parlato a gente troppo sorda per sentirla. Mentre
mi rialzo penso che, alla fine, è così che vanno le cose, in questo modo, da sempre.
E penso che ieri al mio “come stai”, io non abbia ascoltato la sua risposta, la quale
mi avrebbe fatto aprire i miei occhi da cieco egoista.

INVISIBILE di Hasna Khadiri Ciao, mi chiamo Donna e voglio finalmente dire la mia.
Nel corso dei secoli sono sempre stata considerata inferiore agli uomini, vista come un oggetto
proprietà del padre, del fratello o del marito. Maltrattata, picchiata, umiliata, stuprata, torturata,
sminuita, giudicata, schiavizzata, sottomessa; queste sono le parole che descrivono al meglio il
percorso della mia intera esistenza.
Per quanto io abbia combattuto, temo che non sia cambiato molto.
Il fatto è che non concepisco il perché di tutto questo, vorrei solo una risposta che placasse una
volta per tutte quei punti interrogativi che tormentano la mia anima. Un’anima dilaniata per
l’oppressione da parte dei miei stessi simili, un simile che avrebbe dovuto proteggermi, amarmi,
rispettarmi…considerarmi.
Inizia tutto con qualche insulto, si passa agli schiaffi, ai pugni, poi ai calci, ma lui chiede
scusa e io lo perdono, lui mi tratta bene per una settimana, e poi ricomincia tutto da capo e per
l’ennesima volta io lo perdono e lo giustifico. Esatto, lo giustifico perché avevo bisogno di
autoconvincermi e mettere a tacere tutti quei segnali allarmanti che continuavo a ignorare.
Il ciclo si ripete finché non rimane niente.
Ma sento che questa è l’ultima occasione, anzi lo percepisco, il freddo avvolge il mio corpo,
ma allo stesso tempo lo sento andare a fuoco. Il buio annebbia la mia vista, un sapore ferroso
inonda la mia bocca e si trasforma in una sensazione di bagnato.
L’anima abbandona il mio corpo e guardo gli eventi scorrere intorno a me.
Il posto che ho sempre temuto mi accoglie tra le sue braccia, e i rimorsi iniziano a riafforare,
i dubbi tornano insieme all’ansia, le domande senza risposta, il gioco dei “se” si rifà vivo, se solo
me ne fossi accorta prima, se solo non avessi scelto il silenzio come migliore amico…ecco tutto
questo avrei potuto fermarlo prima di diventare un guscio vuoto.
Avrei potuto dire basta, ma non l’ho fatto perché credevo che lui sarebbe cambiato e che
un giorno sarebbe tutto finito.
Ogni livido, ogni costola rotta, ogni pugno, ogni insulto, ogni lacrima.
Be’ mi sbagliavo ed è stato solo l’inizio, mi sono aggrappata alla vita graffiando, mordendo ma è
stato tutto inutile. Non volevo arrendermi ma è stato inevitabile farlo.
Non è questa la mia vita, non è questa la normalità a cui ero abituata, per nessun motivo devo
essere trattata così. Trattata come un animale chiuso in gabbia.
Nessuno ha il diritto di sfiorarmi nemmeno con un dito, non devo convincermi che tutto
questo è normale perché assolutamente non lo è.
Chi sei? Chi ti dà il diritto di insultarmi, picchiarmi eh? Chi?
Ah, fammi indovinare: perché sei un uomo, giusto?
Lascia che te lo dica io, non sei un uomo. Non hai neanche il diritto di sentirti tale.
Ti reputi un uomo quando in realtà non sei altro che una carogna, un rettile.
Se picchiarmi ti faceva sentire uomo, adesso dovrai trovare qualcos’altro su cui sfogarti perché
non sono più la tua vittima, ho smesso di esserlo.
Me ne sono andata da guerriera, non da vittima.
Non ho lasciato che la tua stessa voragine risucchiasse anche me.
Per quanto tu ci abbia provato, hai perso.
Del mio dolore non ne ho fatto una debolezza, ma ne ho fatto la mia forza.
Mi ha resa invincibile dentro, ma invisibile fuori.
Pensavi che mi stessi indebolendo in realtà mi stavo arricchendo perdendo valore ai tuoi occhi.
Eri subito alla ricerca di qualcos’altro ma qualcosa ti rendeva ancora legato a me, come ancorato.
Sai, ero felice che tu tornassi da me, ma non gioire, non è perché ti amavo, ma perché per nessuna
ragione avrei permesso che un’altra vivesse il mio stesso dolore.
Un dolore che consuma, che annulla.
Ma poi il tempo è stato il mio secondo migliore amico. Non facevo altro che aspettare lo scoccare
della mia ora e quando finalmente è giunto il mio momento…me ne sono andata senza salutare.
C’è una famosa frase di Oscar Wilde che dice: “Perdona i tuoi nemici. Nulla li fa arrabbiare di
più”. Io ho fatto lo stesso e non scorderò mai la sensazione appagante che ho provato.
Perché sapevo di aver lasciato il mio carnefice nell’inferno.
La sua casa. Dove tutto è iniziato.