Vecchi miti: «Care mamme, vi hanno ingannate: sacrificarvi per i figli non li renderà migliori»

«Gran parte dell’infelicità dei giovani adulti deriva dal rapporto con i genitori», dice la psicoterapeuta Stefania Andreoli. Che dedica alle madri il nuovo libro: «Ciascuna faccia la cosa giusta in nome della propria soddisfazione. Dobbiamo rispondere solo a noi»

Corriere della sera La 27 ora – 3 aprile 2022 Chiara Maffioletti

«Per quanto ci sentiamo preparate e attente – e lo siamo -, per quanto abbiamo voglia di riequilibrare le cose, sottopelle noi donne abbiamo quasi tutte quell’intercapedine dentro cui cadiamo, perché tutte poggiamo i piedi su concetti strutturati da millenni. Ma è ora di fare pulizia di pensiero». Se migliaia di persone (basta dare un’occhiata ai suoi follower su Instagram) hanno quotidianamente voglia di abbracciare molto forte Stefania Andreoli, è perché questa psicoterapeuta e scrittrice dice, con una chiarezza disarmante, esattamente quello che c’è bisogno che venga detto. Urlato, anzi. Il suo nuovo libro ha nel titolo il mantra che molte mamme dovrebbero ripetersi ogni giorno: Lo faccio per me . Una risposta utile per le più svariate domande – perché torni al lavoro? Perché lo metti al nido? Perché esci con le amiche? -, e sempre validissima. «Non se ne può più con questa idea che intende la maternità come qualcosa per cui immolarsi» riprende Andreoli. «Bisogna normalizzare una serie di concetti».

Ad esempio?
«Le mamme non sono indispensabili per il benessere del figlio. Sono ampiamente sostituibili, e lo dico concependo la maternità in un modo altissimo, non per fare l’operazione inversa rispetto a quanto è stato fatto finora. Di certo però abbiamo mitizzato questo ruolo. E pensare che chi fa la mamma e basta garantisca la miglior crescita possibile a un figlio non è così vero. Anzi».

Nel tentativo di sfatare qualche mito, partiamo con il botto: la mamma è sempre la mamma.
«Falso. Nel libro ho voluto raccontare che i cattivi genitori esistono e possono essere anche le madri. Non sono più buone, più vicine a quella diffusa idea di Madonna a cui vengono accostate. Prima di diventare genitori siamo tutti persone. Per quanto siamo contemporanei e ingaggiati nel tentativo di stare nel reale, viviamo ancora di frasi fatte di cui siamo portatori apparentemente sani. Quello slogan da propaganda serviva per tenere le mamme buone a casa e alla fine ci siamo quasi affezionate all’idea, illuse che potesse essere almeno quello un nostro primato. Ma non è vero come non lo è che di mamma ce n’è una sola: non si può pensare sia la sola figura che cresce il bambino. Guai».

Nel libro parla della maternità come di una relazione.
«Il punto è questo: un figlio è sempre un soggetto, così come la madre che spesso però, anche inconsapevolmente, non ha introiettato questo concetto, per me ovvio. La vera perversione è sentire di avere tutta la responsabilità verso un figlio, perché cresca in un certo modo, come se fosse una nostra propaggine. Le madri devono ripensare alla loro importanza per consentire al figlio di respirare, di compiere la sua vita senza che si senta stretto in un patto di lealtà da cui poi è difficilissimo uscire».

I genitori, le mamme in particolare, sarebbero bravissime a dare ai figli le radici di cui parla Gibran, un po’ meno a fornire loro le ali per volare via…
«Sì, ma il figlio non è qualcuno che diventerà una persona: è già una persona. È già qualcuno che non è noi. Lo sappiamo ma in fondo non ci crediamo. La mia intenzione prima di scrivere questo libro era dedicarne uno ai giovani adulti, che meritano tutta la nostra attenzione e preoccupazione perché sono smarriti. In terapia vedo soprattutto loro. Ma poi ho capito che gran parte di questa infelicità deriva proprio dal rapporto con i genitori».

Un rapporto soffocante?

desc img

«Sì, ma anche per le mamme. Bisogna scrollarsi di dosso il peso del senso di colpa attraverso un invito: diventa la mamma che senti di essere. E se sei una mamma-chioccia, che non desidera più tornare al lavoro, va bene, ma sappi che lo stai facendo per te e non per tuo figlio. Bisogna abbandonare l’idea per cui i genitori pensano di dover decidere anche per i figli quello che è giusto. Dopo una certa età, ovvio. Ma oggi non viene più trasmessa l’idea che essere adulti è bello».

Ha qualche consiglio per riuscire a farlo?
«Finché un bambino è piccolo – diciamo quando va alle elementari -, dei due il grande dovrebbe essere il genitore e il piccolo il figlio. Il vantaggio di essere bambino è che non hai l’onere della scelta: c’è chi lo fa per te. Invece spesso vedo genitori impegnati nell’accontentare in ogni modo bimbi piccoli per “farli felici”. Mi sento dire: “Mio figlio ha 8 anni e non vuole dormire nel suo letto”. Oppure: “Ha 7 anni e ha voluto vedere Squid Game “. Ma non ci deve essere ogni volta un tavolo di trattative: soddisfare sempre e comunque i bambini è il peggio che gli si possa offrire. E quindi, il genitore educa e poi con l’ingresso nelle scuole medie deve mollare un po’».

Sta dicendo che, di base, spesso accade il contrario?
«Esatto, abbiamo invertito questo ordine: lasciamo che i piccoli si comportino secondo la loro sensibilità e, di fatto, chiediamo loro come vogliono crescere e poi li riacciuffiamo quando diventano grandi, perché non ci fidiamo, vivendo la vita al posto loro. Mi viene in mente una donna di 28 anni che mi ha raccontato che non può dormire dal fidanzato perché i genitori non vogliono».

Le madri insomma si candidano ad assolvere questo ruolo in eterno, protese verso i propri figli in uno svezzamento perenne…
«Un tempo se volevi ottenere qualcosa dovevi uscire e prendertela. Oggi non trasmettiamo l’idea che essere adulti sia cool . Un cortocircuito che rischia di creare persone molto infelici. I figli mai cresciuti, ma anche tutte le donne che una volta diventate madri puntano ogni fiches sul ruolo materno, dimenticando tutte le altre cose importantissime che esistono al di fuori, come l’essere professioniste, appassionate di qualcosa, ex fidanzate, amiche, studentesse. Dimenticando insomma tutta quella merce di grande qualità che poi si può anche offrire ai propri figli, che è la totalità di chi siamo. E dunque ecco il mio invito: ognuno deve fare la cosa giusta in nome della propria soddisfazione, non di quella del figlio. Altrimenti la relazione madre-figlio diventa patogena. Vorrei dire a tutte le mamme che pensano di doversi sacrificare che le hanno ingannate: non sarà quello che renderà vostro figlio felice. Ognuno deve cercare il senso della vita per sé».

Questo dunque è il segreto per essere un bravo genitore: trovare un senso alla propria esistenza al netto dei figli?
«Il senso dell’esistere, esatto. Siamo qui per godere di tutto quello che la vita può offrire: qualcosa che non si può esaurire nell’essere la mamma di qualcuno. Personalmente, non credo affatto non ci sia niente di più bello che mettere al mondo un figlio e lo dico, ripeto, con un grande senso della maternità: ho due figli e ne avrei voluti quattro. Ma la mia vita va al di là di loro e sono agghiacciata dall’idea che non esista niente di più bello che mettere al mondo un bambino. Non solo, rendiamoci conto di quanto sia gravoso per un figlio sentire di essere il senso della vita di un altro… Poi si parla tanto di amori tossici, pericolosi. Divento severa, ma se davvero ci si sente realizzate solo con un figlio, il rischio è che se poi quel bambino non fa il bravo, se non ti fa sentire un bravo genitore, allora si sta da cani tutti».

Fatte tutte queste premesse, esiste un momento giusto per mettere al mondo un figlio?
«Quando si è già felici. Se pensi invece che sarà la maternità a compierti ho il timore si parta con il piede sbagliato. E non dimentichiamo che esistono anche i padri: non hanno partorito, ma ci sono quelli che vogliono comunque esserci, che si svegliano di notte, che fanno tutto come noi donne. E non usiamo il termine mammo che è peggio di una parolaccia. Ci appropriamo di un certo primato del materno ma è un trappola».

Una piccola provocazione. Se suggerisce di ricercare un proprio appagamento allentando la tensione sulla maternità, perché scrive un libro pensato per le mamme?
«Ma io non solo accetto la provocazione, dico anche che sogno un mondo in cui i manuali per genitori non vengano più editati e le persone che fanno il mio mestiere rimangano senza lavoro. Evviva l’autodeterminazione, prendere le scelte che dobbiamo prendere, che vanno bene in quanto migliori per noi. Ed è solo a noi che dobbiamo rispondere».

Esistono mamme egoiste?
«Ma speriamo! Nell’immaginario collettivo è uno dei peggiori difetti, ma in psicologia l’egoista è chi si procura il proprio soddisfacimento da solo, senza chiedere che lo facciano i figli. L’idea che una madre che antepone sé stessa ai figli sia degenere è sbagliata perché in realtà accade esattamente il contrario».

È così, insomma, che costruisce per loro le ali e, finalmente, li libera.