LE FIGURE DELLA VIOLENZA DI GENERE

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Laboratorio della Società Psicoanalitica Italiana a Roma sulla violenza di genere
Introduzione alla Tavola rotonda del 20-1-23
Le figure della violenza di genere
Tito Baldini

Ringrazio il Presidente Thanopulos e l’Esecutivo della SPI per avermi sostenuto nel coordinare l’iniziativa che si avvia con la Tavola rotonda di oggi, sono altresì grato alle persone partecipanti alla stessa e alle presenti in sala. A questo tavolo sono il meno competente in materia e mi scuso in anticipo degli errori che sto per compiere.

Per offrire il proprio contributo contro la violenza di genere l’Esecutivo della Società Psicoanalitica Italiana tra molto altro ha avviato un’iniziativa nazionale suddivisa in sezioni locali coordinate tra loro sotto l’egida dell’Esecutivo stesso. Tra esse, talune saranno più addentro gli studi psicoanalitici nati da gruppi di studio attivi nei Centri psicoanalitici nazionali, altre, come la nostra, si concentrano sull’apertura a personalità e professionalità attive nel campo, realizzando un pensatoio multidisciplinare, un incontro tra saperi indispensabile per capire, prima, e agire, poi. Questo gruppo locale avvia il proprio operato con l’odierna iniziativa svolta da alcuni suoi membri, mentre altre figure fondamentali nel frattempo confluiranno e si uniranno a noi. Con alcune abbiamo già condiviso anni fa un evento, fregiato con la Medaglia del Presidente della Repubblica, “Figure della violenza di genere in adolescenza”; in esso, con Paola Di Nicola, Teresa Manente, Laura Di Nicola e molte altre e molti altri dialogammo tra discipline complementari; c’era l’Associazione Nazionale Magistrati, l’Associazione Nazionale Presidi, il Rettore e il Direttore della Facoltà di Lettere di Sapienza, giornaliste impegnate e scrittrici affermate, antropologhe e colleghe SPI esperte nello specifico, e ancora e ancora perché solo incontrando e incrociando si può nel tempo modificare qualcosa di radicato nella natura umana. Considero quel che stiamo facendo anche come un prosieguo di tale buon lavoro. Ho ascoltato in questi mesi di preparazione il punto di vista di accademiche in storia della materia quali Silvia Salvatici che spero presto possa unirsi a noi, e Flaminia Bolzan, criminologa e psicologa, e Andrea Benedetti, psicoterapeuta direttore del Centro “Prima” per il recupero degli uomini condannati. Speriamo di avere un giorno tutti in squadra. Ho imparato da loro, dai loro libri, da quelli di Paola Di Nicola. Oltre la cronaca, anche Silvia Salvatici segnala un incremento del fenomeno, in Italia oltreché nel mondo, negli ultimi 5/10 anni, frutto forse anche della sua maggiore emersione. Allo scopo di scaldare gli animi getto da tali saperi sulla nostra Tavola spunti liberamente evocativi e volutamente non impegnati in una costruzione che si deve realizzare gradualmente insieme. Un dato internazionale: in India 92 donne ogni 24 ore subisce violenza grave. Per Salvatici:

– violenza è dare del “mostro”, “orco”, “borderline” agli omini violenti e criminali con le donne. Ciò infatti è “distrattivo rispetto alla strutturalità e al radicamento del fenomeno nella Società”;

– violenza è la resistenza ad applicare le leggi che ci sono già.

I dati sono importanti:

– circa i “soli” femminicidi, dal Viminale risulta che nel 2022 fino al 24 dicembre sono state uccise 120 donne di cui 97 in ambito familiare o affettivo e 57 per mano del partner o ex partner, con un incremento del 4% rispetto al 2021. Solo tra il 12 e il 18 dicembre sono state uccise 4 donne per mano del partner;

– dati Istat purtroppo rialenti al lontano 2014: il Italia il 31.5 % delle 16/70enni (circa 6 milioni 788 mila) ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, il 21 % (4 milioni 520 mila) violenza sessuale, il 5.4 % (1 milione 157 mila) le forme più gravi della violenza sessuale come lo stupro (652 mila) e il tentato stupro (746 mila). Ha subito violenza fisica o sessuale da partner o ex partner il 13 % delle donne (2 milioni 800 mila); la maggior parte delle donne che avevano un partner violento lo hanno lasciato a causa della violenza subita (68.6 %); il 24.7 % delle donne ha subito almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner: estranei, persone conosciute, amici, parenti, colleghi di lavoro. Le donne straniere in Italia hanno nel corso della vita subito violenza fisica o sessuale in misura simile alle italiane; la violenza fisica è la più frequente fra le straniere mentre quella sessuale più tra le italiane. Le straniere sono molto più soggette a stupri o tentati stupri e le donne moldave, rumene e ucraine subiscono più violenze da parte di uomini sia italiani che stranieri. Una percentuale non trascurabile di donne ha subito atti persecutori (stalking) – il 21 % di quelle tra i 16 e i 70 anni – solo per gli atti compiuti dagli ex partner.

Ma la violenza sulle donne non si limita alla fisicità e alla sessualità e per questo abbiamo pensato, già dal precedente convegno pubblico romano, di utilizzare l’espressione figure per parlare della violenza di genere, parafrasando l’espressione coniata dallo psicoanalista Masud Khan relativamente alle perversioni. Qui i dati culturali si fanno antropologici, ontogenetici e addirittura filogenetici se ripensiamo al mirabile testo Thalassa. Psicoanalisi delle origini della vita sessuale di Sandor Ferenczi. La pretenziosità di imporre una inesistente differenza simil razziale che vedrebbe l’uomo dominante la donna ha attraversato la Storia dell’umanità e del diritto come un’ossatura, la donna considerata (da chi?) meno intelligente, imbrigliata emotivamente, debole da tutti punti di vista, irrazionale. I percorsi dell’evoluzione legislativa del diritto della donna sono utili cartine di tornasole della cosiddetta asimmetria di genere. Da noi le donne escluse dalla carriera giudiziaria per mobilits ormonalis – emotività e influenze ormonali sulla ragione – ma poi tutto questo smentito da leggi stesse che attribuivano al presunto più evoluto maschio diritto di uccidere per furore e per onore; la libertà sessuale assicurata agli uomini con una legislazione sull’adulterio che punisce solo le donne (gli uomini solo per concubinato), e tutto questo negli anni della mia formazione; così come il diritto allo stupro risolto dal matrimonio riparatore con le cosiddette spose bambine – dai 12 ai 16 anni – degli anni ’70; stavo per nascere quando viene abolito lo ius corrigendi (art. 571), il diritto dell’uomo di correggere anche con l’uso della forza propositi e condotte di moglie e figli: una legislazione che risale alla cultura antico-romana che – sostiene Salvatici – “pensa al matrimonio come l’istituto che garantisce la progressione della specie, e quindi controlla, dal maschile, la sessualità”. Ero un adolescente attivista comunista quando venne rivisto il diritto di famiglia, ed è interessante considerare, con Salvatici, che “negli anni ’70 tutte le forze politiche erano contrarie a procedere contro la violenza sulle donne dentro il matrimonio, anche i socialisti e le forze di sinistra: non si va contro il matrimonio”. E ancora la nostra accademica: “Dobbiamo arrivare al 1996 per stabilire che la violenza sulla donna va oltre la sola violenza sessuale: non solo quindi l’atto della penetrazione tout court”. Nel 1988 nell’UDI nasce il Telefono rosa ove si registra un quadro italiano di mogli di magistrati e avvocati potenti picchiate, fratturate e sfregiate, un osservatorio che ribalta la tesi che vede ignoranza e povertà come causa principale della violenza di genere. Il nuovo millennio porta leggi importanti come la 154/2001 sulle misure cautelari e allontanamento del coniuge violento, ma la sua applicazione temporeggiante e garantista per il maschile lascia sulla strada tante, troppe, ‘scarpe rosse’. Stessa limitazione nell’interpretazione riguarda l’inserimento nel 2009 del già citato reato di stolking, e la famosa Convenzione del Consiglio Europeo del 2012 contro la violenza sulle donne: importante riconoscimento internazionale da noi ratificato l’anno successivo, peccato che gli Stati componenti fatichino a firmarla per renderla operativa. Scusandomi per gli errori che compio nella mia sommaria ed evocativa ricostruzione, e posando ora lo sguardo sul tema dell’origine della questione, trovo interessante – tra altre autorevoli – la posizione riferita da Susanna Mantioni (2017) relativa a teoriche del calibro di Susan Brownmiller che, nel 1975, “individuano in una causa specificatamente sessuale l’origine dell’oppressione storica delle donne rispetto agli uomini” (p. 139).

Invitato a dire qualcosa a un evento su Maria Maddalena, affrontai la questione delle vicissitudini nella Storia della componente erotica della personalità femminile. Condividemmo col collega Ezio Maria Izzo, psicoanalista colto e saggio, l’idea che, nell’evoluzione della specie, la componente istintuale maschile del maschio umano impose il primato della fallicità, un po’ come accade oggi ai nostri cani domestici quando li portiamo a passeggio: il maschio è incessantemente impegnato all’affermazione del primato fallico; è sfidante e combattivo coi maschi, possessivo con le femmine; dalla sua capacità di virilità dipende la sopravvivenza della specie ed essa deve essere affermata: combatte i maschi e possiede le femmine. Freud insegna che per acquisire i vantaggi della civilizzazione e direi dello psichismo la razza umana doveva tollerare una frustrazione, il “disagio” dell’allontanamento dalla dimensione istintuale. Ebbene per Izzo e me a farla breve il maschio umano nella notte dei tempi ha imposto con la forza il mantenimento di paradigma involuto che lo vedeva superiore, lo ha imposto sulla donna avviando come un vulnus un modello sociale basato sulla supremazia e sulla violenza. Questo avrebbe limitato nel maschile umano il raggiungimento di capacità di tollerare la frustrazione, unica via per acquisire struttura psichica e con essa ragionevolezza. Nel 1969 Patty Pravo diffondeva in musica la tesi secondo cui un uomo senza battaglie non può sentirsi un uomo e dato quel che vediamo siamo ancora là, con gli eserciti di maschi in campo e le donne dei vinti stuprate dai vincitori. Ubi maior … Ora va capito che, mentre per tale rudimentale assetto psichico, la condotta maschile secondo i codici maschili è accettata – e quindi il presunto maior è rispettato e stimato, ammirato e imitato (non ci dimentichiamo che a tali livelli di rudimentalità psichica il modello di riferimento è gregario, e quindi il maschio alfa è celebrato dai maschi stessi) – bene, mentre quindi i maschietti tra di loro lottano, stimano chi vince, si esercitano per divenire maior, e tutto si significa in buon ordine – appunto diretto erede dell’istinto della supremazia della forza che dà diritto alla riproduzione – mentre tutto questo primitivismo per il maschio ha senso, l’inquietudine per lui sorge col femminile nell’area proprio del suo diritto alla sessualità, alla dimensione erotica dell’esperienza psichica, al piacere inteso come energia libidica che tende costruttivamente al legame. Qui il maschio cade, i suoi principi validi in un mondo di uomini si annullano impotenti di fronte alla spinta enorme dell’erotismo femminile. Ne parla con naturalezza Lou Andreas Salomè nei saggi L’erotismo e L’umano come donna e la sua spigliatezza fa vibrare i polsi. E’ come se nel codice istintuale maschile ancora troppo attivo fosse scritto che l’uomo può avere diritto alla componente erotica della personalità perché la conquista armi in pugno (oggi le armi possono anche essere la potenza economica), questo è scritto nella Legge delle leggi, ma la donna no, la donna è il possesso, è l’oggetto di tali battaglie, o uno degli oggetti, e, se lei desidera, se lei anche lontanamente pensa di poter accedere al piacere mette in discussione il primato maschile, che appunto dà diritto al piacere solo al vincitore. Naturalmente tale stato di cose che costituirebbe lo psichismo interumano maschile, noi maschietti ‘bravi’ – cioè psichicamente evoluti – lo gestiamo, accettiamo il disagio della civiltà e, con Paolo Mieli ci gettiamo nel pozzo delle donne di ginzburg-decespedesiana memoria, ma esso diviene una base pericolosa se sopra ci costruisci una personalità fragile, costituisce una mina sotto l’umanità che un uomo fragile accende, fragile o reso tale da disagi ambientali, da una civiltà dei consumi che inneggia alla concorrenza sfrenata dell’uno-contro-uno; fragile che se la prende con chi non sa opporsi, e si sceglie donne in tale direzione per sentirsi il maschio forte che invece non si sente di essere. Il cane maschio piccolo è il più litigioso e facile all’attacco quando può compierlo. Se quel che sostengo ha senso, per cambiare le cose si delinea un campo di azione vasto, ove certo bisogna dare importanza all’educazione giovanile penetrando nei percorsi scolastici primari e secondari, bisogna entrare nelle Istituzioni repubblicane, nella magistratura e nella legge, nei meccanismi di diffusione delle informazioni e in quelli per l’acquisizione di benessere sociale, economico e culturale, ma per prima cosa ritengo che sia necessario lavorare chiedendo alla psicoanalisi come si agisca sulle modifiche dello psichismo profondo, quello che prevalica il personale per immergersi nel fiume carsico di una dimensione interpsichica collettiva ove tale “germe” staziona e fermenta, sotto, e, come certi microrganismi sporigeni anaerobici, può rimanere sommerso e silente ma vivo e pronto a riattivarsi se la condizione diviene favorevole – come quando dall’alto giungono esempi istituzionali pubblici che esortano pur indirettamente alla supremazia del maschilismo, oppure fin dentro il pensiero del modello produttivistico che pone potenza nel divenire ricchi sulla povertà altrui, e non potenza sul riconoscimento dell’uguaglianza tra umani, tutti, donne e uomini, poveri e ricchi, di qualsiasi latitudine e colore di pelle, e pone uguaglianza di diritti tra gli umani e la natura … Il germe del paradigma istintuale ubi maior minor cessat genera la violenza sulle donne dopo avere imposto a modello la supremazia personale e gruppale attraverso la violenza al posto della supremazia dell’uguaglianza. Vanno riveduti paradigmi che una società che da sola si definisce “civile” ha imposto come unici aventi significato, se vogliamo capire perché più si diviene civili e più le donne sono vittime di violenza, e con esse chi non ce la fa ad arrivare a fine mese o a raggiungere una costa terrestre libera da cui viene rigettato nel mare della sottomissione e della morte. O a pensarsi un futuro in un pianeta non ammalato dalla ‘fallicità’ dei potenti estrattori di idrocarburi fossili.

Io alle volte immagino che un mondo di donne sarebbe senza guerre, senza discriminazione nei modi di amarsi tra umani, un mondo ove ci si ascolta dentro e intorno, uno estraneo alla banalità del paradigma indiziario maschile. Queste però sono le cose che le donne sanno fare e che per questo agli uomini nel fondo fanno paura, ma l’umanità ha sempre meno bisogno del primato fallico del maschile anche a livello di sopravvivenza della specie e ne dobbiamo tenere conto.

Hai ragione Teresa Manente quando – noi due e Paola Di Nicola e Sarantis Thanopulos seduti a chiacchierane a un caffè – mi lanciasti la provocazione secondo cui “una donna deve poter girare anche nuda e non essere molestata”. E la hai perché il punto è che cosa ne fa il maschile della propria eccitazione elicitata dall’erotismo femminile: nella Storia egli ha risolto dalla parte di lui la questione punendo la donna come colpevole di eccitarlo, quindi proiettando, scaricando violentemente la rabbia dell’animale che non controlla gli istinti sulla meta degli stessi senza contenere e senza riflettere: come a dire che se l’uomo si eccita, ha ragione, e se agisce di conseguenza, è motivato, mentre la colpa ricadrà sulla donna, che porta un brav’uomo, per tramite del proprio erotismo palesato, sulla cattiva ma giustificata strada dell’abbrutimento. Hai ragione perché ne verremo fuori quando l’uomo, imparando dalla donna, saprà, di tanta eccitazione, in lui sorta a cospetto di tanta bellezza e altezza dell’umano femminile, di tanta eccitata meraviglia risvegliante in lui la vita e la voglia di viverla, saprà costruire qualcosa di psichico, come insegna Freud, e non scaricarla e azzerarla, come insegna l’istinto, incolpando poi, di tanta bassezza, l’umanità femminile. Costruire psichismo che porta a legarsi a lei e amarla per quello che è e più che altro per quello che ella desidera, amando il di lei modo di amarsi e amare.

Fermo qui queste considerazioni spettinate, e, prima di dare loro la parola, passo ad una sobria presentazione delle relatrici e dei relatori: cedo il microfono al già citato Sarantis Thanopulos, presidente della Società Psicoanalitica Italiana, a Emanuela Quagliata, psicoanalista, coordinatrice nazionale dei Laboratori SPI sulla violenza di genere; a Teresa Manente, avvocata, a Paola Di Nicola, magistrata, a Francesco Menditto, magistrato, Maria Novella De Luca, giornalista, a Daniela Scotto Di Fasano, psicoanalista, a Laura Onofri, Presidente Ass. “Se non ora quando (TO)”; Paola Pannicelli, autrice e funzionaria RAI, a Giulia Cirenei, laureanda in psicologia, a Paolo Baldini, studente universitario in Storia. A seguire, gli interventi di altre e altri componenti del gruppo e quelli di sala.

Come vedete un pool scientifico-culturale di altissimo livello. Dobbiamo permettere a ben undici persone di comunicare il proprio pensiero e per riuscirvi dobbiamo stare nei tempi, così nessuno viene trascurato e non ci si stanca troppo. Quindi darò, con affettuosa fermezza: 15 minuti a ciascuna persona.

 

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