MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI, PREVENZIONE E CONTRASTO. L’ESEMPIO DI TORINO

Zetatielle – 6 febbraio 2023 – Monica Col

Le mutilazioni genitali femminili (MGF), sono pratiche di incisione o rimozione totale o parziale dei genitali esterni femminili. Tali azioni, praticate da pochi giorni dopo la nascita fino all’età dell’adolescenza, non rientrano in nessun discorso terapeutico, bensì in una cultura ancestrale che viene tramandata da millenni. Non esiste nessun credo religioso o testo sacro che indichi tale pratica come necessaria. Però, nonostante questo, le MGF si praticano ancora oggi. Si conoscono vari tipi di mutilazioni genitali femminili con diversi livelli di gravità, di cui la più radicale è comunemente chiamata infibulazione.

Mutilazioni genitali femminili i numeri mondiali

Secondo l’OMS, nel mondo, sono 200 milioni le donne e ragazze viventi sottoposte a mutilazioni genitali femminili con 3 milioni di minorenni a rischio ogni anno. Le MGF si praticano principalmente in circa 30 Paesi  dell’Africa subsahariana, dall’Egitto al Senegal, ma anche in diversi paesi del Medio Oriente, del Sud Est asiatico e in alcune comunità in Sud America, India e Pakistan. Ad oggi, il fenomeno migratorio ha reso le MGF un problema di interesse globale.

Più di 600.000 donne e ragazze con MGF vivono in  Europa, con un’incidenza maggiore in Francia, Italia, Regno Unito, Germania e Svezia. E’ solo nel 2012 che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adotta, finalmente, la prima risoluzione (A/RES 67/146) che  sancisce il divieto mondiale delle MGF e invita gli Stati a intensificare gli sforzi per eliminarle. Le mutilazioni genitali, in Italia, rappresentano una lesione personale gravissima punita con la reclusione secondo l’art. 583 del codice penale.

MGF in Italia

Per quanto riguarda l’Italia, secondo le stime più recenti formulate in uno studio del  2019 dell’Università di Milano Bicocca e del Dipartimento per le Pari Opportunità le donne tra i 15 e i 49 anni sottoposte a MGF presenti sul territorio  nazionale sono circa 87.600. Le comunità provenienti dai paesi dove la provenienza è più elevata sono Nigeria, Egitto, Senegal, Etiopia, Costa d’Avorio, Somalia, Eritrea,  Burkina Faso, Guinea, Mali e Sudan. Non esistono purtroppo dati certi anche per la grande quantità di “sommerso” che investe molta della popolazione migrante in Italia. Ma c’è un luogo a Torino che, da novembre 2021, lavora in stretta collaborazione con ASL, Amref, territorio, Associazioni, mediatori culturali , avvocati e centri d’ascolto per la prevenzione e il contrasto delle MGF. Costruendo il primo esempio in Italia di sinergia a 360 gradi per aiutare le donne colpite da queste pratiche, accompagnandole passo per passo in un percorso di aiuto sanitario, culturale e burocratico. E’ l‘Ambulatorio MGF presso il CeMuSS dell’OSpedale Oftalmico – ASL città di Torino. Ci siamo dunque rivolti a loro per capire più a fondo la storia, la provenienza e l’entità del fenomeno e di cosa si fa per contrastarlo e prevenirlo.

Ambulatorio MGF presso il CeMuSS  dell’Ospedale Oftalmico – ASL Città di Torino;

Nell’Ambulatorio MGF del CeMuSS, Centro Multidisciplinare per la Salute Sessuale, abbiamo incontrato i dottori Luca Bello, ginecologo e Anita Fortunato ostetrica, anime dell’ambulatorio. Con noi l’ematologa Marilena Bertini medico di Amref (African Medical and Research Foundation) organizzazione che promuove l’emancipazione femminile, la lotta alle mutilazioni genitali e la tutela della salute materna.

Partiamo dalla storia, quali sono le origini delle mutilazioni genitali femminili?

Sono in effetti pratiche ancestrali, non legate a culti religiosi – spiega il Dottor Luca Bello -. Ma sono pratiche di natura etnica e sociale. Dai documenti storici, peraltro non precisi emergono varie ipotesi. Già nelle mummie egiziane sono stati trovati alcuni tipi di infibulazione, ovvero di chiusura dei genitali esterni. Ancora adesso però non si sa se ciò sia dovuto a una tecnica di mummificazione o a un vero e proprio rituale praticato in vita. E’ comprovato storicamente invece che l’infibulazione è presente nella cultura antico romana dove era utilizzata sia per i maschi che per le femmine. Questo al fine di bloccare la procreazione e i rapporti sessuali tra schiavi. Lo schiavo era non solo proprietà lavorativa ma anche sessuale del padrone e della padrona. Per cui per fare in modo che lo schiavo e la schiava non potessero avere rapporti con altri se non con i loro padroni venivano infibulati. Alle donne veniva ristretta la vagina e agli uomini chiuso il prepuzio tramite appunto la “fibula”. Pratica che poi è sfociata , durante il Medioevo, nella cintura di castità.

La mutilazione genitale, o circoncisione come la chiamano le popolazioni che la praticano non ha una valenza religiosa monoteistica. Non è quindi né di derivazione islamica, né ebraica, né cristiana. Né tantomeno contenuta in alcun testo religioso. E’ una pratica ancestrale entrata nella cultura di molti popoli. Si nota però un’evoluzione, nelle grandi città africane. Qui la pratica delle mutilazioni genitali femminili è minore rispetto ai centri più rurali, tranne che in rari casi”.

Quali sono i dati del fenomeno che riscontrate sul territorio che presidiate?

“Partendo da uno studio del SIMM e dell’Università della Bicocca si può dire che,- risponde il Dr Bello – rispetto a tutta la popolazione di donne migranti, circa tre milioni, la percentuale di donne con MGF è molto contenuta, circa il 3 %. Ma va a salire enormemente se invece si prendono in considerazione le specifiche etnie. Posso dire che nel territorio da noi presidiato, quindi Torino, la popolazione femminile egiziana presenta per l’80/90% delle mutilazioni di tipo I e II. Cioè mutilazione con escissione del clitoride o parte di esso (I) e delle piccole labbra (II). La popolazione nigeriana invece presenta una spaccatura a seconda delle zone. La mutilazione scende al 70% circa, su donne provenienti da determinate aree, ma può scendere anche al 10 se provenienti da altre zone della Nigeria. Le donne ivoriane invece, abbiamo scoperto, che presentano quasi tutte una mutilazione di tipo III, cioè infibulazione”.

Quando queste donne migranti mutilate arrivano nel nostro paese, chiedono aiuto? oppure vivono la mutilazione come un fatto culturale, per cui per loro assolutamente normale?

E’ una domanda molto difficile questa – risponde la dottoressa Fortunato -. Dipende dal percorso di migrazione che hanno fatto, dal perchè si allontanano dal paese di origine e dai contesti con cui si interfacciano una volte giunte in Italia. Noi lavoriamo molto con le associazioni sul territorio, per cui c’è un certo tipo di sensibilizzazione. Si parla, ci sono dei gruppi di donne in cui trattano vari temi legati anche alla sessualità, l’igiene, le mestruazioni, e si cerca di inseire anche MGF. Ma tendenzialmente è una cosa “normalizzata”. Le conseguenze fisiche che derivano dalla mutilazione, come ad esempio le infezioni ricorrenti, il dolore durante i rapporti, la minzione lenta, le gravidanze e i parti complicati, sono fenomeni a cui queste donne sono abituate. Hanno normalizzato il fatto che ci siano e non le collegano neanche alla mutilazione.

La consapevolezza della non normalità arriva nel momento in cui si interfacciano, in un contesto diverso, con loro coetanee che presentano genitali esterni e una sessualità diversa dalla loro. Parliamo già, però, di una seconda o terza generazione scolarizzata e con strumenti in più che aiutano a far sì che le donne prendano consapevolezza che le problematiche fisiche di cui si parlava prima devono essere ricondotte a un qualcosa che è stato loro modificato. Oppure ci sono donne che arrivano da noi con un vissuto pesante di migrazione, di violenza nel proprio paese, di matrimoni forzato, per cui rifiutano totalmente questa pratica e non intendono attuarla sulle proprie figlie. Per contro ci sono donne che, invece, vivono bene questo loro stato e non vedono come problema o pratica a cui non sottoporre le figlie proprio perchè per loro non traumatica“.

Riuscite comunque a fare opera di sensibilizzazione?

Prima di tutto è molto difficile, se non per le donne molto istruite chiedere aiuto a noi direttamente. Ci sono donne che ci contattano perchè vogliono salvare le figlie per cui richiedono la protezione internazionale, altre perchè hanno il marito italiano e altre perchè in qualche modo vengono a sapere di noi _ spiega il Dr Bello-. La maggioranza però, arriva da noi tramite le associazioni ad esempio Progetto Tenda , o perchè inviate dagli ambulatori : medici e ostetriche che seguono le donne in gravidanza e richiedono a noi un parere se è possibile un parto per via naturale. Rimane però il fatto che le MGF fanno parte della cultura di queste donne. Anche di quelle istruite e che svolgono il compito di mediatrici culturali. Una pratica normale per loro, come per noi mettere gli orecchini alle bambine.

Occorre quindi un gran lavoro di sensibilizzazione. Le pratiche escissorie sono legate a credenze popolari molto difficili da sradicare. Come quella per cui se un bambino nasce e tocca il clitoride muore, oppure che le piccole labbra siano legate all’infertilità. D’altra parte, restando sul terreno delle credenze e delle superstizioni anche qui in Italia abbiamo una tradizione di miti da sfatare legati al periodo mestruale della donna“.

Dal 2012 esiste una risoluzione dell’ Assemblea delle Nazioni Unite che vieta a livello mondiale le MGF. Che voi sappiate esistono episodi di mutilazione genitale clandestini?

Si. più comunemente nel maschio. E’ molto più facile che venga circonciso illegalmente un bambino che non avvenga una mutilazione su una bambina. E’ più facile che la bambina venga inviata in “vacanza” nel paese d’origine”, dichiara il dr Bello. “Anche perchè – continua la dottoressa Fortunato -, chi pratica la mutilazione genitale femminile è una persona che ha conoscenza di quel rito. Per cui sono le nonne, le zie , le mammane. Donne del villaggio e della comunità che per anni e anni si sono dedicate a quel lavoro, peraltro retribuito. Per cui oltre legarsi a un rito, si lega anche a un “saper fare” a una professionalità che si trova nel paese d’origine. E’ una domanda a cui comunque possiamo rispondere parzialmente perchè di questo fenomeno c’è un sommerso incredibile. E’ difficile sapere quante di queste pratiche vengono eseguite se non arrivano poi a un Pronto Soccorso.

Sappiamo, ad esempio che la circoncisione maschile – aggiunge la dottoressa Bertini di Amref – è praticata illegalmente e a costi bassissimi. Ma su mille casi , in Pronto Soccorso ne arriva magari uno solo per complicanze gravi. E ovviamente le famiglie non denunciano. In più per le bambine la pratica mutilatoria è proprio legata a un rito d’iniziazione che deve essere svolto nel paese d’origine, mentre per il bambino ciò non è essenziale“.

A quale età, nelle bambine, viene praticata la MGF?

Dai primi giorni dopo la nascita fino ai 16 anni. – risponde il Dr Bello – Dipende dal tipo di etnia. Posso portare un esempio estremo di una ragazza, vittima di tratta, che è stata escissa a 17 anni. Questo perchè è stata costretta a un matrimonio forzato e per sposarsi è stata mutilata“.

La mutilazione dà un valore alla sposa – aggiunge la dottoressa Fortunato -, un po’ come una dote. La ragazza escissa acquista valore per il marito. Ma una mutilazione a17 anni porta con sé un grosso trauma. Proprio per questo è facile che questa donna, a questo punto, non la pratichi sulle figlie.

Quali sono le conseguenze fisiche e psicologiche, qualora siano presenti delle MGF?

A livello piscologico si può presentare depressione, disturbo post traumatico da stress, ansia, disturbi legati al vissuto della mutilazione che è sempre in un contesto di violenza, qualora sempre ce ne sia ricordo, a seconda del l’età in cui la mutilazione è avvenuta”. Spiega la dottoressa Fortunato.

“Per le bambine ci sono più conseguenze fisiche – afferma il Dr Bello -. Infezioni, difficoltà ad urinare, neurinomi cioè tumori benigni che vengono fuori dal nervo amputato. Infezioni urinarie e vaginali. Dolore mestruale intenso per ritenzione. In età più adulta anorgasmia, calo della libido. Complicanze della gravidanza , difficoltà al parto, lacerazioni postcoitali e lacerazioni gravi durante il parto. In casi estremi morte per dissanguamento durante l’escissione“.

Anche problemi per il nascituro – aggiunge la dr Bertini-. Un parto più lungo, perchè più difficile per il canale ristretto, aumenta la sofferenza fetale“.

In che modo agite sul territorio per sensibilizzare e contrastare questo fenomeno?

Teniamo delle lezioni, sia ad assistent* sociali, sia nelle scuole primarie, secondarie e università – spiega il dr Bello-. Abbiamo on line un corso FAD ( Formazione a Distanza) per operator* sanitari. Siamo dotati di supporti informatici per cui possiamo mostrare alle donne la differenza tra genitali integri e genitali mutilati. Abbiamo un clitoride ricostruito in 3D con cui è possibile mostrare quale parte viene escissa a secondo del grado di mutilazione. Inoltre ci avvaliamo di un sito scientifico, Labia Library, in cui sono raccolte migliaia di foto di vulve sane, di qualsiasi etnia, per mostrare alle donne cosa intendiamo per normalità”.

E’ importante costruire un percorso formativo, inclusivo e non invasivo – afferma la dr Fortunato -.Ci sono donne mutilate che arrivano da noi, ma che stanno bene, non hanno dolori, non vivono in modo traumatico la situazione. Per cui ovviamente non andremo a porre il focus sulla diversità, sul problema della mutilazione perchè per loro in quel momento in realtà non lo è. Il contatto invece con la comunità, fuori dall’ambulatorio, rimane quello più difficile.

L’importanza della sinergia con la comunità e della non stigmatizzazione

Alcuni rappresentanti della comunità islamica ci avevano chiesto di andare a tenere lezioni in aule con un alta prevalenza di alunn* islamici proprio perchè il messaggio arrivasse alle famiglie. – Prosegue il Dr Bello-. Gli strumenti che abbiamo poi analizzato nei gruppi di miglioramento con Amref sono proprio questi: puntare sulla prevenzione, sulla formazione, sulla sensibilizzazione. In sintesi non bisogna stigmatizzare le donne come delle donne mutilate. Occorre invece farle prendere coscienza del fatto che hanno una differenza sul proprio corpo. Cerchiamo di capire se questa differenza crea problemi psicologici o di salute, ma se non li crea siamo concordi nel trasmettere il fatto che si possa vivere una vita assolutamente normale. Tutto ciò non leva la ferma condanna sulla pratica delle mutilazioni genitali femminili. Per cui non creiamo lo stigma , ma portiamo le donne alla consapevolezza che non sono obbligate a farlo sulle proprie figlie.

Se una donna volesse avere informazioni, rivolgersi a voi, prendere un appuntamento come deve fare?

All’interno dell’Ospedale Oftalmico, via Juvarra 19 a Torino. Presso il Centro Multiciplinare per la salute sessuale (CEMuSS) è presente l’ambulatorio dedicato alle donne vittime di mutilazione Genitale Femminile. Aperto il martedì dalle ore 8.30 alle ore 16.30.

Le visite sono erogate su prenotazione al numero di telefono dedicato 0115666369 attivo il martedi dalle 10.30 alle 12.30 o via mail mutilazioni.cemuss@aslcittaditorino.it .

Per chi non parla la lingua ci sono mediatori e mediatrici culturali.

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