LA PILLOLA PER CHI, LA PILLOLA PERCHÉ

Scienzainrete 20 novembre 2023 – Elena Benelli, Maurizio Bonati

Dopo sei mesi persi per confermare quello che già si sapeva e cioè che offrire la pillola anticoncezionale in forma gratuita a tutte le donne è possibile e auspicabile, non sappiamo se questo succederà davvero, né quando. Perché quello che si è perso per strada è una politica capace di supportare una sessualità libera e felice che si possa coniugare con una genitorialità altrettanto felice e responsabile.

Tanto tuonò che piovve. Lo scorso 16 novembre, la Cts, la Commissione tecnico scientifica dell’Agenzia italiana del farmaco, si è espressa infine sulla decisione se rendere gratuito l’accesso alla pillola anticoncezionale a tutte le donne in età fertile presenti sul territorio italiano. Lo ha fatto ribadendo che l’eventuale scelta della gratuità non può che essere di natura economica e politica, perché non esistono motivi tecnici o scientifici che lo impediscano.

 

Una posizione che, nei fatti, apre all’orientamento del Consiglio d’amministrazione di Aifa (espresso ai primi di novembre) di riservare la gratuità della pillola anticoncezionale solo alle donne fino ai 26 anni d’età, ma che comunque rivendica alla Cts il proprio ruolo scientifico e il lavoro fatto nello scorso mese di maggio quando aveva costruito un corposo dossier che, al contrario, raccomandava la scelta di offrire la contraccezione ormonale gratuita per tutte. All’epoca il Cda dell’Agenzia del farmaco, non convinto, aveva chiesto un supplemento di istruttoria, che giunge ora, sei mesi più tardi, a confermare quanto già espresso (la storia dell’intervento del Cda di Aifa in senso restrittivo alla distribuzione gratuita della pillola contraccettiva alle donne italiane la avevamo raccontata qui a inizio dello scorso giugno). La Cts ha tenuto anche a raccomandare che la prescrizione dei contraccettivi ormonali nella modalità gratuita non sia riservata ai soli specialisti ginecologi, che nella visione del Cda, erano da rintracciare nei consultori o nelle strutture ospedaliere, ma aperta anche ai medici di medicina generale.

Chiusa, così, la procedura di valutazione tecnico scientifica, si apre ora quella della contrattazione con le aziende, affidata all’altra commissione Aifa, il Comitato prezzi e rimborsi, che dovrebbe stabilire, sulla base degli accordi, quali formulazioni saranno aperte all’accesso gratuito e come. Anche il Cpr si era già espresso nella primavera scorsa con un parere favorevole alla gratuità per tutte le donne. Difficile non intravvedere quindi un desiderio, se non proprio una tattica dilatoria del Cda Aifa che ha preteso sei mesi di verifiche per ritrovarsi allo stesso punto. Tanto più che entrambe le commissioni, ora, sono prossime a una trasformazione perché nella stessa giornata del 16 novembre la riforma Aifa ha ricevuto infine il via libera dalle Regioni e si avvia, dunque, tra le altre cose, a riorganizzare in un’unica realtà le funzioni dei due comitati. Che cosa succederà della decisione sulla pillola gratuita è difficile prevedere. C’è chi teme che possa svanire nelle nebbie della riforma dell’Agenzia o scivolare comunque molto in là nel tempo, vista la debole volontà dell’attuale maggioranza di governo verso politiche della famiglia al passo con i tempi. E pensare che fino a un’epoca non molto lontana, il 2016, almeno alcuni contraccettivi ormonali erano liberamente prescrivibili dai medici di famiglia e rimborsati dal Servizio sanitario nazionale.

Quando la pillola era gratis

Bisogna risalire al marzo 1971 per trovare il momento in cui prendere la pillola anticoncezionale è diventato legale. Una decisione che ha avviato nella società italiana di quegli anni un’ampia riflessione, sostenuta e partecipata anche dalle istanze del movimento femminista. Si andava affermando l’idea dell’autodeterminazione delle donne e la visione sempre più ampia e diffusa di quanto sia importante arrivare alla maternità o, al contrario alla contraccezione, grazie e scelte autonome e consapevoli. Su questo percorso, nel 1975, quasi 50 anni fa, è nata la legge 405, quella che ancora oggi definisce le politiche complessive per sostenere e promuovere una genitorialità libera, matura e responsabile. La legge ci ricorda che spetta allo Stato garantire non solo «la divulgazione delle informazioni idonee a promuovere o, al contrario, a prevenire la gravidanza consigliando i metodi e i farmaci adatti a ciascun caso» ma che gli compete anche «la somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e dal singolo in ordine alla procreazione responsabile nel rispetto delle convinzioni etiche e dell’integrità fisica degli utenti». Insomma, informazione e supporto per le coppie nel loro vivere la sessualità e ciò che rappresenta per ogni persona in base alle proprie convinzioni.

E, in quell’epoca di disponibilità di spesa forse più ampia dell’attuale, ma soprattutto di visione della salute come diritto universale da promuovere e sostenere, l’articolo 4 della legge 405 stabilisce a chi tocca spendere per una sessualità sicura e responsabile: «l’onere delle prescrizioni di prodotti farmaceutici va a carico dell’ente o del servizio cui compete l’assistenza sanitaria. Le altre prestazioni previste dal servizio istituito con la presente legge sono gratuite per tutti i cittadini italiani e per gli stranieri residenti o che soggiornino, anche temporaneamente, sul territorio italiano».

Per anni, quindi, almeno alcune formulazioni della pillola contraccettiva sono state prescritte dai medici e rimborsate dal Servizio sanitario nazionale. Magari con l’indicazione di terapia anti-acne, senza esplicitarne la capacità di prevenzione delle gravidanze.

Fino a quando, nel 2016 l’Aifa (che nel frattempo era nata come soggetto regolatorio dei farmaci sotto il profilo della sicurezza e della spesa), su impulso dell’allora ministro Beatrice Lorenzin, aveva tolto dalla rimborsabilità le pillole anticoncezionali rimaste sul mercato prevalentemente per i disturbi ormonali. L’intenzione, almeno sulla carta, era quella di rivedere l’intero ventaglio dei contraccettivi per riorganizzarne l’offerta gratuita (come previsto dalla legge 405) sulla base dei migliori criteri di sicurezza ed efficacia e del miglior dosaggio per le diverse esigenze delle donne. Purtroppo, da allora non se ne è fatto più niente.

I consultori familiari, un fallimento?

La legge 405 stabiliva anche la nascita dei consultori familiari, affidati alle unità sanitarie locali “quando saranno istituite” (la legge precede, infatti, la riforma che tre anni più tardi istituirà il Servizio sanitario nazionale). E di nuovo, sulla carta e nelle intenzioni, si tratta di formidabili presidi per la salute riproduttiva che prevedono il supporto a un percorso di crescente maturità e consapevolezza nell’esercizio della sessualità, dalle generazioni più giovani fino agli adulti e alle persone mature. Concepiti con un approccio olistico, multidisciplinare e con una visione non direttiva e non paternalistica (insomma, con una visione davvero moderna e in anticipo sui tempi) proprio per queste loro caratteristiche sono stati osteggiati e le criticità «esacerbate dalle ostilità dei servizi tradizionali che provarono sistematicamente a emarginare queste realtà innovative che mettevano in discussione con la loro presenza il modello biomedico di salute», come si legge sull’Indagine nazionale sui consultori familiari 2018-2019. La più recente di cui disponiamo.

Così negli ormai quasi 50 anni di esistenza di questi presidi, la loro presenza sul territorio nazionale è stata disomogenea, viziata dai diversi riferimenti normativi nelle diverse realtà regionali, dalle diverse disponibilità di risorse umane ed economiche, e dal progressivo venir meno delle sedi e del personale. La classica realtà a macchia di leopardo della sanità pubblica italiana.

Perciò, se da una parte il coinvolgimento dei consultori nell’offerta di contraccezione gratuita è in linea con il loro ruolo, l’intenzione espressa dal Cda Aifa in questa direzione ha sollevato subito molte perplessità nei confronti di un presidio che, se funziona bene in alcune realtà (le solite: Toscana ed Emilia Romagna), è ben lontano da garantire quanto previsto a livello nazionale.

Infatti, a fronte della presenza prevista di un consultorio familiare ogni 20.000 abitanti, la media sul territorio nazionale è invece di uno ogni 35.000 e con il solito gradiente nord-sud: «Solo in 5 Regioni e una P.A. il numero medio di abitanti per consultorio familiare è compreso entro 25.000, mentre in 7 Regioni il numero medio è superiore a 40.000, con un bacino di utenza per sede consultoriale più che doppio rispetto a quanto previsto», recita il documento di sintesi del convegno I consultori familiari a 40 anni dalla loro nascita, realizzato dall’Istituto superiore di sanità a dicembre 2019.

Ma, forse, la conferma più significativa di quello che i consultori dovrebbero essere e, purtroppo, non sono riguarda l’insufficienza dei cosiddetti flussi informativi. Manca una raccolta dati che sia precisa, omogenea, certa. E soprattutto, tempestiva. Così che non sappiamo con certezza e a livello di Paese quante e quali donne ricorrano alla pillola come strumento contraccettivo, né quali siano i loro desideri in termini di contraccezione e di intenzioni di costruirsi una famiglia.

Se la contraccezione non è parte di una strategia diventa solo “voce di spesa”

In fondo quello che emerge di più da tutta questa penosa vicenda di Aifa e della pillola è la mancanza di una visione e una strategia che, in un Paese maturo, dovrebbero tradursi in una sensata politica per una sessualità responsabile e consapevole, come presupposto per le scelte riproduttive. Per dirne una, ancora oggi l’Italia è uno degli ultimi Stati membri nell’Unione europea in cui l’educazione sessuale non è obbligatoria nelle scuole (ci fanno compagnia Cipro, Lituania, Polonia, Romania e Bulgaria). E questo a dispetto delle tante proposte di legge che ci hanno provato, la più antica delle quali è proprio del 1975, quando avrebbe completato l’approccio sancito dalla legge 405. Così, a tanti anni di distanza, le tante scuole che pure si impegnano a offrire a studenti e studentesse un percorso di educazione sessuale lo fanno su base volontaria e spesso limitandosi ad affrontare l’aspetto biologico della sessualità, senza prendere in considerazione quelli sociali, psicologici o emotivi che invece tanto peso hanno nell’esperienza degli adolescenti.

Insomma, al di là delle buone intenzioni dei legislatori (di ieri) quello che l’Italia sembra aver perso per strada è la volontà di attuare quella politica di sostegno a una sessualità libera e felice che si possa coniugare con un percorso verso una genitorialità altrettanto felice e responsabile. Un percorso che si costruisce con le scelte, le iniziative pratiche di continuità e non solo con le leggi. Ma tanto necessario che il Parlamento Europeo, con la risoluzione del 24 giugno 2021 sulla salute sessuale e riproduttiva ha ribadito i presupposti che già informavano la nostra legge 405. La risoluzione infatti invita gli Stati membri a garantire l’accesso universale a una gamma di metodi contraccettivi moderni di alta qualità e alle relative forniture, alla consulenza sulla pianificazione familiare e alle informazioni sulla contraccezione per tutte e tutti. Invita, inoltre, a ridurre o eliminare le barriere finanziarie e sociali che impediscono l’accesso alla contraccezione e a garantire che siano disponibili medici e professionisti sanitari a cui rivolgersi, permettendo a tutte le persone di scegliere il metodo contraccettivo più adatto a loro. E, tanto per chiarire afferma, all’articolo 31: «tale copertura dovrebbe essere estesa a tutte le persone in età riproduttiva».

Perciò, se Aifa volesse aderire all’invito europeo non avrebbe che da estendere l’accesso gratuito alla pillola contraccettiva a tutte le donne, dal momento che, come ribadito dalla sua Cts, non esistono motivi tecnici e scientifici per non farlo. E, forse, nemmeno rilevanti motivi economici, visto che si parla di poche decine di milioni a fronte di una spesa per i farmaci il cui avanzo potrebbe già coprire il fabbisogno richiesto. E con non pochi vantaggi, anche finanziari, in termini di salute riproduttiva. Insomma, quello che c’è di più sbagliato nell’approccio di Aifa all’offerta gratuita della pillola contraccettiva è ridurre tutto e solo a voce di spesa.

D’altra parte, incamminarsi su una direzione diversa vorrebbe dire confrontarsi esplicitamente con l’idea di famiglia, del suo ruolo nella società contemporanea e anche delle tutele necessarie per tutte le persone, grandi e piccole, che la compongono.

Rendere difficoltoso o troppo oneroso l’accesso alla contraccezione per contrastare la caduta a picco della natalità (come ha detto qualcuno) è, prima di tutto, ridicolo e poi inutile, visto che i fattori principali che scoraggiano la scelta di avere figli – ci ha ricordato Istat in un recente seminario – rimangono l’incertezza lavorativa e la scarsa divisione del lavoro domestico. Ma più ampio e preoccupante è il divario tra le affermazioni a sostegno e tutela della famiglia (invece che delle famiglie) e le scelte praticate dalla maggioranza che governa attualmente il Paese.

Nelle stesse ore in cui la Cts Aifa rilasciava il suo parere, il consiglio dei ministri approvava le proposte di disegno legge del cosiddetto pacchetto sicurezza, che include la discrezionalità nel rinviare il carcere per le donne incinte o con bambini fino a 3 anni. Una proposta che, se diventerà legge in questi termini, sancirà il venir meno di quella tutela del supremo interesse del minore, richiamata anche di recente dalla Corte costituzionale. E farà della Giornata mondiale dell’infanzia e dell’adolescenza, che si celebra oggi 20 novembre, l’ennesima occasione per fare delle chiacchiere.

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