
Blog Il Fatto Quotidiano 25 novembre 2022 – Laura Onofri
Ci siamo mai soffermate a pensare quanto la rivoluzione digitale abbia inciso sulla vita delle donne? Io non lo avevo mai fatto prima, ma la lettura del saggio La Rete non ci salverà (Longanesi ed.) di Lilia Giugni (ricercatrice associata a Cambridge) mi ha aperto le porte di un mondo di cui, ammetto, conoscevo ben poco. Come tante, credo, l’attenzione rispetto alla rivoluzione digitale e all’impatto che questa ha avuto sulle donne era sempre stata concentrata sulle molestie e le minacce on line di cui tutti i giorni sentiamo parlare, o di cui magari siamo state anche vittime.
25 Novembre 2022 Città di Torino
Il portico della Curia Maxima, in via Corte d’Appello 16 ospita la mostra di manifesti ‘Beequal’ ideata e realizzata dalle ragazze e dai ragazzi dell’istituto professionale Albe Steiner in collaborazione con l’associazione Lofficina. L’esposizione, aperta al pubblico dalle ore 8.00 alle ore 19.00 dal lunedì al venerdì, rappresenta l’esito finale di un percorso didattico/culturale sull’analisi e la denuncia degli stereotipi di genere nella comunicazione. La mostra sarà aperta al pubblico fino al 7 dicembre.
Se Non Ora Quando Torino? parteciperà a questa iniziativa del Comune di Torino con il gruppo scuola della associazione con interventi di Anna Sburlati e Monica Veglia
Il Manifesto – Manuela Manera*
COMMENTI. Nel caso di Meloni – ma non è la sola – la scelta non riguarda la sua identità di genere ma un ruolo che lei interpreta in modo machista
A livello individuale la dimenticanza si può perdonare. È però grave se avviene in un articolo giornalistico, perché mette in luce o una scarsa competenza o, peggio, un uso strumentale delle informazioni. Quando Ricolfi su Repubblica afferma che è sufficiente l’indicazione di Meloni di essere chiamata al maschile per “scatenare critiche, battute, ironie” compie un atto tendenzioso, tacendo la storia di un dibattito che in Italia è vivo da quasi 40 anni (A. Sabatini, Il sessismo nella lingua italiana, 1987). È reticente anche nel ricordare l’antecedente opposto, quello di Boldrini che volle per sé il femminile e fu oggetto di hate speech.
In questi ultimi anni le polemiche sono state soprattutto sulle strategie tese a garantire una giusta rappresentazione a tutte le soggettività, introducendo nuovi simboli come l’asterisco (es. ragazz*) o la schwa (es. ragazzə). Strategie in uso già da una decina d’anni in gruppi ristretti e che ora si stanno diffondendo per libera scelta di chi costruisce una comunicazione e la vuole rispettosa delle differenze. Ricolfi confonde le battaglie per il riconoscimento dell’identità di genere (quindi la scelta di come nominarsi, se al maschile, al femminile o altro) con l’opportunismo di chi ricorre al maschile solo in certi momenti.
Nel caso di Meloni – ma non è la sola – la scelta non riguarda la sua identità di genere ma un ruolo che lei interpreta in modo machista; tant’è che si rivendica donna, madre, cristiana, e in questi casi non declina al maschile. La sua è la sottolineatura, nel solco di una cultura patriarcale fortemente rivendicata, che il maschile è portatore di prestigio, il femminile no.
Di fronte a ciò, non è affatto “curioso” che il sindacato delle giornaliste e dei giornalisti Rai abbia fatto una scelta: non l’ha fatta oggi, ma è frutto di un lavoro di formazione lungo anni e che ha riscontro nel Manifesto di Venezia (2017) ed è ribadito con l’articolo 5 bis nel Testo unico dei doveri del giornalista (2021).
Non esiste una guerra dei pronomi. Anche questo è un modo parossistico di indicare qualcosa che è molto semplice: si tratta di rispetto. E se, a differenza del passato, oggi abbiamo maturato questa sensibilità in più per migliorare le relazioni, è un passo avanti, non indietro; è una fatica rispettare le altre persone?
Sarebbe ora di dare le informazioni in modo corretto: le persone non binarie non hanno problemi a percepirsi, ma si sottraggono a un rigido incasellamento, disconoscendo la classificazione in “o maschio o femmina”; la scelta di strategie come per esempio la schwa non è solo collegata a questioni identitarie ma rappresenta una messa in discussione di un sistema sociale gerarchico, discriminatorio e oppressivo.
È curioso come, soprattutto da parte di chi dovrebbe avere più elasticità mentale, ci sia il terrore del cambiamento: un cambiamento che significa meno discriminazioni, meno oppressioni, meno violenza, meno misoginia, meno omolesbobitransfobia.
Sbagliare un pronome non ha mai portato ad accuse, processi o licenziamenti: sarebbe anche qui il caso, per chi scrive un articolo, di verificare fonti e ricostruire le vicende in modo completo e corretto. Ma non conviene farlo perché, come quando si accende la luce in una stanza buia, ci si accorgerebbe che i mostri non sono altro che ombre proiettate dall’immaginazione. Quei mostri servono, sono invocati e alimentati (attraverso meccanismi retorici ben noti a chi studia la comunicazione) per uno scopo: la paura, si sa, è utile a chi ha il potere e vuole difendere il proprio status. E per farlo si travisano le informazioni e si ricorre a un lessico che sovrascrive la realtà. Ecco allora che si parla di “galateo” e non di diritti, si invoca il “benaltrismo” (i veri problemi sono altri) a cui Ricolfi aggiunge la tutela verso le classi sociali svantaggiate: l’umiliazione dei ceti bassi, infatti, non sarebbe data dal sistema capitalistico-liberale e patriarcale ma dal diffondersi di alcune proposte comunicative che implicherebbero una frattura sociale!
Peccato che certe proposte derivino proprio da quel “basso” che non si interpella mai perché fa comodo tenere silenziato. Dare voce a soggettività discriminate per l’identità di genere, infatti, è rischioso; significherebbe far luce e smontare le ombre minacciose: allora sarebbe evidente che quella che viene definita “spasmodica attenzione alla sensibilità individuale” è “rispetto”.
*Linguista, autrice di La lingua che cambia. Eris
Pubblicato 3 giorni fa Edizione del 18 novembre 2022
Il Fatto quotidiano – Blog – Diritti 17 novembre 2022 Laura Onofri
Pannolini, biberon, carrozzine e lettini, questo è quello che promette la Regione Piemonte alle donne che avendo deciso di abortire, ritornano sui loro passi, perché grazie a questo “grande” aiuto economico (circa 4.000 euro) possono essere tranquille per quello che riguarda il loro futuro e quello del bimbo o della bimba che nascerà. E’ infatti stata approvata, qualche settimana fa la delibera di giunta che determina le modalità di accesso e i criteri di assegnazione dei finanziamenti per il fondo “Vita nascente”.
E proprio dalle modalità di erogazione di questi finanziamenti si capisce quanto questo provvedimento sia di fatto un’elargizione alle associazioni anti abortiste che saranno loro a gestire i 400mila euro stanziati dal Fondo. Associazioni ideologicamente contrarie all’aborto e che usano un orribile campionario di iniziative per convincere le donne a non abortire stigmatizzandole, umiliandole e ledendo in tanti contesti la loro libertà di scelta: dai feti di plastica distribuiti a Verona al Congresso delle famiglie, ai rosari recitati davanti agli ospedali “in riparazione e prevenzione del grave peccato dell’aborto” ai cartelloni pubblicitari che periodicamente compaiono sulle strade delle città che paragonano al veleno la Ru 486.
Presto questo provvedimento potrebbe essere esteso a tutto il territorio nazionale se, come dice la Presidente del Consiglio, quello del Piemonte è un modello che deve essere replicato e bolla come “stucchevoli” le proteste del movimento delle donne e della sinistra.
Noi pensiamo invece che ideologica sia questa legge che non aiuta di certo le donne in difficoltà economica: si può pensare che 4000 euro, erogati una tantum, possano bastare per la nascita e la crescita di un figlio o una figlia alle donne che sono in difficoltà economica?
Se si vogliono aiutare le famiglie e le donne a compiere una scelta libera da condizionamenti culturali, sociali ed economici, le politiche da mettere in atto sono ben altre: l’aumento dell’offerta di asili nido gratuiti e l’allargamento del tempo pieno nella scuola primaria, misure per incentivare l’occupazione femminile, lotta alla precarietà e al gap salariale.
Se si vogliono invece soddisfare le associazioni antiabortiste e minare la libera scelta delle donne si crea il Fondo “Vita nascente”.
Jacobin Italia 2 novembre 2022 – Olimpia Capitano
La destra al governo minaccia la salute sessuale e riproduttiva. Esistono però movimenti che si organizzano per rispondere a una diffusa domanda sociale
Il rapporto tra diritto, natalità, interruzione volontaria di gravidanza (Ivg), salute sessuale e riproduttiva sta emergendo come terreno privilegiato del conflitto politico attuale – si pensi alle posizioni di Giorgia Meloni sull’obiezione di coscienza o alla proposta di legge di Forza Italia per conferire capacità giuridica al feto sin dal concepimento.
Ladynomics 8 novembre 2022 – Giovanna Badalassi
Continuiamo il nostro ciclo di articoli per approfondire il tema della violenza economica. Dopo aver definito la violenza economica nella prima puntata, e visto come la povertà può rappresentare un fattore di rischio nella seconda puntata, oggi ragioniamo dell’impatto della violenza economica sulle vittime.
Il 16 novembre apre a Torino, in via Nota 5, il centro S.O.S, la casa del progetto a sostegno degli orfani speciali di cui sono capofila i Centri Antiviolenza Emma.
Anche se mancano cifre certe si stima siano una cinquantina, tra Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, i minori di 21 anni che hanno perso la madre per femminicidio. Bambine e bambine, ragazzi e ragazze che finiscono in un cono d’ombra. La riservatezza, a cui hanno diritto, rischia di rendere invisibili anche i loro bisogni, psicologici, educativi, formativi.
E con loro rimangano inascoltate anche le famiglie a cui sono stati affidati. Quasi sempre le famiglie della donna uccisa segnate dal trauma della perdita di una persona cara.
Il Centro S.O.S di Torino è stato pensato per dare loro risposte concrete.
Le operatrici delle equipe multidisciplinari, formate nel primo anno di vita del progetto S.O.S, offriranno l’ascolto necessario per capire come, chi vorrà aderire al progetto, potrà essere sostenuto o sostenuta in un percorso di ricostruzione e crescita.
Gli obiettivi e le finalità del Centro S.O.S saranno illustrati al convegno che la mattina del 16 novembre, a partire dalle 9 fino alle ore 13.30 si terrà nell’Auditorium della Città Metropolitana di Torino, in corso Inghilterra 7
Porterà la sua testimonianza il dottor Giuseppe Delmonte che ha perso la madre per femminicidio quando aveva 18 anni.
Saranno presenti anche responsabili degli altri 3 progetti selezionati con il bando nazionale “A Braccia Aperte “dalla Impresa sociale Con i Bambini e finanziato con 10 milioni di euro dalla fondazione per il Sud.
Con la tavola rotonda finale si cercherà di capire quali siano le risposte giuste da mettere in campo subito per sostenere chi resta dopo un femminicidio. Vi parteciperanno esponenti della magistratura, del tribunale dei minori, dell’ordine degli assistenti sociali e degli avvocati, delle forze dell’ordine….
Dalle ore 14,00 porte aperte nel centro di Via Nota 5 per l’inaugurazione del Centro S.O.S. con brindisi e finger food.