LA STRATEGIA DEGLI ANTI-SCELTA, VOLONTARIATO E STIGMA SOCIALE PER LIMITARE IL DIRITTO ALL’ABORTO

Domani , 4 luglio 2025   – Ilaria Boiano, Avvocata di Differenza Donna

DOPO LA SENTENZA SUL SANT’ANNA DI TORINO
La strategia degli anti-scelta, volontariato e stigma sociale per limitare il diritto all’aborto

La legge 194 è stata una conquista storica ma contiene profonde contraddizioni: la decisione della donna è garantita a prezzo di controlli e prescrizioni. Oggi il diritto viene delegittimato con la disinformazione scientifica e il moralismo paternalista. Ma la “stanza per l’ascolto” di Torino deve chiudere dopo la sentenza del Tar

La legge 194 del 1978 rappresenta una conquista storica per i diritti delle donne in Italia, anche se segnata sin dall’inizio da contraddizioni profonde: l’interruzione volontaria della gravidanza non è depenalizzata, ma soltanto condizionatamente non punibile.

Il diritto all’autodeterminazione delle donne si esercita infatti entro una procedura burocratizzata, fondata su un’asimmetria di genere che riconosce alla donna la decisione, ma a prezzo di controlli e prescrizioni.

La giurisprudenza in Italia ha storicamente resistito ai tentativi di rimettere in discussione il diritto delle donne a decidere, ma le controversie che hanno attraversato il sistema giudiziario tutto, dalla Corte costituzionale, alla Cassazione, ai giudici di merito mostrano una persistente difficoltà ad accettare l’autonomia e la responsabilità individuale delle donne rispetto al proprio corpo, “aggredito” anche attraverso lo strumento del contenzioso giudiziario.

L’obiezione di coscienza, introdotta come garanzia individuale, si è trasformata in un meccanismo di negazione collettiva del diritto all’aborto. Le percentuali di personale obiettore sfiorano in molte regioni il 70 per cento, compromettendo l’accesso effettivo ai servizi. Anche i medici non obiettori sono discriminati, come riconosciuto dal Consiglio d’Europa. La medicalizzazione rafforza il controllo, soprattutto verso pratiche come l’aborto farmacologico, ostacolato nonostante la sua efficacia e sicurezza.

DELEGITTIMAZIONE
Accanto a ciò, la vicenda del Cimitero Flaminio di Roma – che l’associazione Differenza Donna ha contribuito a denunciare richiamando l’attenzione della stampa anche internazionale – ha rivelato una violazione sistemica dell’anonimato delle donne che hanno abortito: tombe con nome e cognome esposte pubblicamente, in violazione della legge, come riconosciuto dal Garante per la protezione dei dati personali.

La delegittimazione dell’aborto si alimenta oggi di due cornici discorsive principali: la disinformazione scientifica e il moralismo paternalista. L’aborto viene presentato come trauma, rischio sanitario, pratica eugenetica, fino a sovrapporlo alla violenza di genere con un ribaltamento semantico che definisce l’aborto “il primo femminicidio”.

Il discorso pubblico così costruito punta a produrre stigma, disinformazione e riforme restrittive. Le mozioni contro la legge 194 presentate nel 2018 nei consigli comunali, hanno promosso la retorica dei “sei milioni di bambini non nati”, e sono state rafforzate da manifesti antiabortisti che mirano a criminalizzare socialmente la scelta delle donne.

LA SENTENZA DEL TAR
A conferma della posta in gioco sull’aborto nel nostro paese, si inserisce la sentenza del Tar Piemonte (Sezione II), numero 921 del 2023, che ha annullato la convenzione stipulata tra l’azienda ospedaliera Città della salute e della scienza di Torino e l’associazione Centro di aiuto alla vita di Rivoli. L’accordo affidava ad associazioni ostili alla legge 194 attività di “supporto e ascolto” rivolte alle donne all’interno di strutture sanitarie pubbliche, come la “stanza per l’ascolto” dell’ospedale pubblico Sant’Anna di Torino.

Il Tar ha accolto il ricorso della Cgil e di “Se non ora quando? Torino” – di cui è riconosciuta la legittimazione ad agire in forza delle finalità statutarie di tutela dei diritti delle donne – e ha accertato la violazione dell’articolo 56 del Codice del Terzo settore, per assenza di verifica sull’idoneità professionale e sull’effettiva capacità dei volontari.

Ancora più rilevante è il riconoscimento dell’incompatibilità tra le finalità statutarie dell’associazione convenzionata, esplicitamente contrarie alla legge, e l’obiettivo di garantire un’informazione libera, obiettiva e non colpevolizzante. La sentenza sottolinea il tentativo di utilizzare il volontariato come cavallo di Troia per penetrare nel servizio sanitario pubblico, attribuendo a soggetti anti-choice ruoli chiave nell’interazione con le donne.

LABORATORIO SIMBOLICO E GIURIDICO
È una decisione esito di una battaglia politica che non ha esitato dinanzi alla prospettiva di un contenzioso, questa volta amministrativo, di solito terreno degli anti-choice che impugnano ogni determina relativa alla contraccezione di emergenza e all’aborto farmacologico, ci invita a riflettere sul fatto che i movimenti antiabortisti e antifemministi utilizzano oggi le stesse strategie partecipative della società civile progressista: ricorrono a convenzioni, leggi, strumenti della democrazia deliberativa, travestendo di neutralità una visione che invece mira a limitare i diritti fondamentali. Le iniziative tese a inibire l’accesso ai servizi di salute sessuale e riproduttiva vanno osservate con attenzione, perché sono il laboratorio simbolico e giuridico delle altre regressioni sociali.

La giurisdizione ha finora svolto un ruolo di freno contro derive oscurantiste in tema di diritti civili e sociali. Tuttavia, la tenuta della legge 194 del 1978 impone di abbandonare la posizione meramente difensiva per interrogarsi su cosa significhi oggi garantire davvero l’autonomia riproduttiva. Dall’altro lato è urgente che al diritto e al contenzioso si affianchino una rinnovata forza politica, nuove alleanze e discorsi pubblici fondati sui valori della laicità e della scientificità dell’intervento pubblico in materia di salute sessuale e riproduttiva, come promuovono da sempre i femminismi.

Leggi l’articolo

Tags: ,

CATEGORIE

ARCHIVIO